domenica 22 aprile 2012

Generazione


Gì non ha scuse. E' una scansafatiche nullafacente letargica. Tra esami in vista, moduli erasmiti da portare in giro per la facoltà, giornate che iniziano alle 5.30 e finiscono alle 23.30 davanti ai libri (o davanti alla webcam per parlare con Tegolino, per provare a colmare almeno un pochino la distanza siderale che intercorre tra casa mia e casa sua), antistaminici, autobus e treni...Gì ha perso un po' di vista il suo blog. E non sapete nemmeno come mi sono sentita in colpa verso i miei lettori (so che ben nascosti ci sono) e le mie commentatrici fisse (che ringrazio sempre tanto con affetto, perché non mi danno l'idea di parlare da sola!).
Oggi vi voglio parlare di due cose che mi hanno colpito in questi giorni. Una molto triste e una molto bella.
Partiamo dalla triste.
Come ben sapete, ogni mattina mi sparo 100 km di autostrada per raggiungere l'università. E la settimana scorsa, con gli occhi ancora un po' impastati di sonno, ho sbirciato dentro un autobus che ci passava affianco. Di quelli grossi, che usavano per portarci in gita quando frequentavamo la scuola. E dentro c'erano tanti bambini, tutti contenti, seduti scompostamente sui sedili, una spruzzata di macchie colorate dalle facce paffute e sorridenti. Mi è sembrata un'immagine familiare, per certi versi. 12-13 anni fa c'ero anche io su quei sedili.
Ma poi ho guardato meglio e ho visto che non c'era uno, e dico uno, di quei bambini che in mano non avesse qualcosa tipo:
-lettore mp3;
-Nintendo tecnologico touch-screen;
-cellulare (di quelli che fanno anche il caffé per intenderci);
-lettore DVD portatile.
Ecco, mi si è stretto il cuore. Perché ho pensato che all'età loro (e qui mi sembra di essere vecchia) quando andavo in gita mi portavo sempre da leggere Topolino, o i giochi da viaggio, tipo Forza 4 o i puzzle di plastica in cui si dovevano spostare le caselle per comporre l'immagine. Il massimo della tecnologia forse erano gli Geomag. E invece no, oggi i bimbi crescono a pane e batterie. Non si sporcano più i vestiti per giocare per terra, non raccolgono più le ghiande dentro ai fossi e sotto gli alberi come facevo io, non tornano a casa con le ginocchia sbucciate perché vanno in bicicletta mentre piove. La cosa che mi ha colpito è che non mi ero mai accorta di come la mia e la loro generazione fossero distanti anni luce. Probabilmente ci sono cose che io facevo che loro non faranno mai, perché oggi sono abituati ad avere tutto e subito, ad essere accuditi da mamma televisione e a preferire un giochino elettronico a una bella scatola di pastelli colorati. Oggi i bambini non creano. Manipolano. E questa consapevolezza mi ha messo una tristezza enorme addosso.

Ora, per sorridere, vi dico la cosa bella che ho notato in questi giorni.
Il mio gruppo di amici si è allargato. Ormai in facoltà abbiamo creato un bell'amalgama di persone, che Dawson's Creek ci fa un baffo. La cosa che mi fa sorridere e mi riscalda sempre il cuore, è che li sento tutti vicini. Anche se io sto a 100 km dalla maggior parte di loro, e non mi è possibile alzare la cornetta e dire 'prendiamoci un caffè tra 5 minuti' ogni volta che vorrei, me li sento dentro al cuore. E' proprio vero che gli amici sono i fratelli che ti scegli. E non importa che staremo separati per 9 mesi (sebbene Cippirimerlo, Raggiodisole e Tegolino vengano con me)... saranno sempre parte della mia giornata.

Affettuosamente vostra,
Gì.

lunedì 26 marzo 2012

Riepilogando!

Vai con fiducia nella direzione dei tuoi sogni. Vivi la vita che hai immaginato.
Henry David Thoreau

La vita di Gì tiene premuto il piede sull'acceleratore. Stamattina, mentre mi sparavo i soliti 100 km di viaggio diretta in quel di università, mi sono resa conto che siamo al 26 Marzo. Ma ci pensate?! 
-E' arrivata la primavera. E io piango, calde e amare lacrime. Sì, perché l'allergia è già qui, e quindi si apre il raccapricciante capitolo annuale intitolato 'Gì e l'allergia'. Un capitolo fatto di starnuti, congiuntivite e sonno indicibile, tanto che mi addormenterei su ogni superficia piana abbastanza (ma anche conca, curva o conica), a causa degli anstistaceppa.
-Fra tre giorni andrò a firmare il contratto che sancirà la mia definitiva appartenenza all'Università di Malta da Ottobre a Giugno dell'anno prossimo. Sono su di giri in una maniera indescrivibile. La scelta dell'Erasmus è stata la conseguenza migliore alla rottura con tipoX, fatta in uno di quei momenti in cui ti rendi conto di quanto tempo hai perso, di quante cose devi fare e di quanto, soprattutto, hai bisogno di cambiare aria, respirare nuovi profumi, guardare nuovi orizzonti e passare del tempo con te.
Ok, poi i progetti per quest'Erasmus (inizialmente concepito come ritiro mistico di 10 mesi in Inghilterra, sotto la neve, a guardare dalla finestra e a riflettere sulla vita) sono un po' cambiati: perché poi ti ritrovi a cercare casa a Malta, sotto il sole e di fronte al mare, con un'altra persona.
Dire che è una bella scommessa partire insieme è dire tutto. E che non era assolutamente in programma anche. Avete presente il modo di dire 'capitare tra capo e collo'? Ecco. Lui è stato il mio fulmine a ciel sereno.

Erasmusamente vostra,
Gì.

giovedì 8 marzo 2012

Dei giusti equilibri.

Gì non è morta. No. Forse è morto il suo tempo libero, ma lei è ancora viva e vegeta, sepolta dai dizionari, dai libri da leggere per i prossimi esami di Letteratura (facendo un conto, al momento sta studiando le letterature di mezzo mondo, alla faccia dei no-global, tiè), dai biglietti del treno e dalle margherite.
Oggi, mentre la professoressa di Lingua Tedesca cianciava sull'importanza della Rectheschreibung (cito: Non era un testo più che aveva nessun senso!), ho stilato la lista dei motivi per cui ultimamente sono di buon umore. Ok, più del solito, magari. Tra l'altro, mi sono resa conto di quanto poco si scrive quando si è felici, e come invece si è un fiume in piena quando si è tristi, e ci si sente ispirati anche solo ascoltando Le tagliatelle di Nonna Pina. 
Ma torniamo a noi.
I motivi:
-E' tornato il sole. 
Parliamone. Io odio il caldo. Ma proprio visceralmente. Perché appena un raggio di sole mi colpisce inizio a sudare e a smaniare per un po' di fresco. E poi quel poco di trucco che uso si scioglie, e io divento un panda di un metro e 57 coi capelli arruffati. Poi mi escono settordicimila lentiggini in più e la mia faccia scompare, sepolta da un mare di macchiette che manco Pongo e Peggy della Disney.
Però sono contenta, perché ho visto come alcune cose, illuminate dal sole, siano ancora più belle del solito.
-Ho vinto la borsa Erasmus.
Ebbene sì, sbaragliando i millemila concorrenti, Gì si è piazzata seconda in graduatoria, troneggiando con la sua media del 30.6 (una cosa paranormale, perché, viste le solite voci di corridoio, pensavo di essere proprio fuori dalla classifica). Per cui, dopo l'ok del Daddy, a Ottobre me ne parto e probabilmente vi scriverò dal mio salotto maltese per 9 mesi. Per intenderci, il mio cervello viaggia ed è già spalmato sulla spiaggia a leggere Shakespeare. 
-Ho trovato i miei giusti equilibri.
Segui una routine, arricchiscila di riti, come dice la volpe al Piccolo Principe, ed essa sarà piena di piccole deviazioni speciali. E ho capito che è tutta questione di equilibrio.
-Mi sento felice perché rendo gli altri felice.
E quando qualcuno ti dice che è felice a causa tua...come fai a non essere felice?

P.s. Ho aggiornato sotto la spinta di una notizia inaspettata: ho letto che ho una follower (lei-sa-chi-è), che ringrazio e che apprezzo moltissimo. Mi commuovo! :') 

Have a great rest of night,
felicemente (spero a lungo) vostra,
Gì.

lunedì 20 febbraio 2012

Parentela (parte 1)

Essere padre di una linguista non è cosa facile. Forse non è cosa buona e giusta. Ma, soprattutto, per una linguista essere figlia di un mancato linguista è cosa ancora meno buona e giusta.
Dad è un cervellone da pc. Smonta e rimonta computer come fanno coi mobili all'Ikea. Ma dentro, molto inside, dad è un mancato linguista. Lui voleva studiare al liceo linguistico, ma per non bene noti e specificati motivi alla fine si è dato al mondo dell'informatica. 
Il problema sorge quando il linguista sopito che è in lui viene fuori. E non è che viene fuori nei momenti da noi prestabiliti (quando si vuole fare insegnare un po' di inglese). No. Viene fuori nei momenti più astrusi e impensabili. Quando mangia. Quando beve (soprattutto se alza il gomito). Quando guarda la tv. Quando si dirige al bagno. Ecco. In tutti questi momenti, Dad...lingueggia
Qui accluse, le perle da lui sfornate recentemente (ma anche le più remote e ormai entrate di diritto negli annali della famiglia).

It's better the ourselves that the bad company = Meglio solo che male accompagnati.
God make them and then couple it = Dio li fa e poi li accoppia.
I go to do the shit = ...non credo abbia bisogno di traduzione. 
The wolf lose hair (ma pronunciato come air) but don't lose... = Il lupo perde il pelo ma non il... (vizio non sapeva dirlo)
Say hi to your sister = Espressione verace più o meno corrispondente a Salutame a soreta.

E' evidente che io il plurilinguismo ce l'ho nel DNA.
 
 

lunedì 13 febbraio 2012

Del Carnevale, nel presente, passato e futuro.

Questo che vedete qui sopra non è un costume di carnevale qualunque. E' un costume di carnevale normale. Ok, magari normale per il resto del mondo, atipico se si pensa che a 21 anni dovrò vestirmi così e librarmi su una pista da ballo con la grazia di Pumbaa, insieme all'amica Lullubells (vestita da Blues Brother, in coppia con l'altrettanto Blues Brother ragazzo) e all'amica Michi (alias Alice nel Paese delle meraviglie per una sera), e con tanto di alucce, calze verdi e coroncina. 
Che poi mi chiedo perché ogni volta che la suddetta amica mi invita a una festa, ciò implica che io debba travestirmi da qualcosa (a breve il resoconto della mia serata pin-up e notizie più precise sulla citata Lullubells).
Eppure, il costume da Winx (perché già so che nessuno capirà che sono vestita da fatina dei boschi, e mi chiederanno quale Winx interpreto) mi sembra mille volte più allettante di tutti i costumi propinatimi tra i 2 ei 10 anni.
Il primissimo ricordo del carnevale ce l'ho vestita da orso (perché poi fossi un orso rosso non s'è mai capito e mai si capirà. Va accettato come il teorema di Talete, per intenderci!).
Io vestita da orsorosso che lancio coriandoli, convinta che spargere al vento pallini di carta colorata, puntualmente appiccicandomeli addosso, sia la cosa più giusta e goduriosa del mondo.
Dopo qualche anno, il salto di qualità. I miei si danno all'entomologia, e mi ritrovo vestita da bruco. Ora figuratevi una piccoletta di 4 anni vestita con un modello tubolare cilindrico verde acido, con tanto di antennine, guantini neri e occhioni da maggiolone neri. Alla prima occasione mi rotolai in una pozzanghera di fango, con lo stesso ardore di un kamikaze che si immola per la patria. Ricordo il momento in slow motion: la pozzanghera di fronte a me, zozza e pastosa come non le ho più vestite, e io che mi lancio in avanti tipo Kevin Costner per proteggere Whitney in "The Bodyguard". Fui bravissima, e mamma dovette buttare il costume.
Poi, flash forward, e ci ritroviamo ai miei 7 anni. E lì hanno superato se stessi: il vestito da fata turchina. Voi vi chiederete che ha di tanto strano un vestito da fata. Ma io l'ho odiato. Con tutta me stessa. Perché? Perché dovevo inserire il cerchio nella gonna per farla sembrare più ampia possibile. Ma siccome il mio patrimonio genetico è stato costruito su una spessa base di goffagine, sono riuscita a rompermi il braccio inciampando nel cerchio. 
(Ovviamente nella categoria rientrano i vari costumi da: Biancaneve, Principessa Sissi, Damina).
Ora la faccenda si fa seria. Io e il vestito da fata ci squadriamo con sospetto, e tra l'altro evito accuratamente di farmi notare dai miei, visto che l'ho voluto fortemente, per salvarmi dalle loro alternative e improbabili scelte.
Pregna di significato la scena al negozio: mio padre tira fuori un vestito da Biancaneve, al cui confronto un chador è roba da pornostar ("Così stai bella coperta...fa freddo no!?") e mia mamma uno da suora, con tanto di rosario e santino.
Ecco. Poi dici che una cresce coi complessi.
 

lunedì 2 gennaio 2012

Dell'originalità nel parlare dell'anno nuovo.

Con sospetto. Ecco come guardo l'anno nuovo. Il sospetto che tanto sarà peggio del precedente. Certo, ho sempre altri 11 mesi per smentirmi, ma credo proprio che questi primi saranno più ingarbugliati del parlare di Paperino. 
Stamattina ho avuto una delle mie solite epifanie: se ti porti troppe cose dietro, con l'anno nuovo non puoi liberarti dalle zavorre, anzi. Devi comprarti un cestino più grosso per infilarcele tutte dentro, perché non puoi fare altrimenti. 
E la cosa peggiore è che succede così anche quando hai il coraggio di fare un bilancio passato-presente-futuro. Consideri il tuo passato come una massa indefinita di problemi, arrivi al presente e vorresti mangiare Nutella fino al raggiungimento del Nirvana o dello shock diabetico, e pensi al futuro con lo stesso ottimismo del giovane Werther.  Ma finché si tratta del tuo, puoi anche azzerare i valori e provare a ricominciare.
Ed è quello che ho provato a fare io, Gì, l'inguaribile ottimista kamikaze: prima ho provato a raggiungere uno stato di meditazione zen molto profondo, della serie che l'uragano Katrina mi avrebbe fatto il solletico; poi, qualcosa di molto più piccolo, ma potenzialmente più pericoloso per noi donne (chiamasi uomo, ahimé), ha scombussolato il suo equilibrio faticosamente conquistato. Ed ecco che Gì per l'ennesima volta è incappata in un guaio più grande di quello che si portava dietro: il guaio di qualcun altro. Ma non un guaio normale. Uno di quelli (inutile dire che nel vobalorio Gì-Italiano guaio significa 'relazioneamorosabarrafrequentazionebarrasimpatiabarrachimicabarraquelnonsochediindefinitochec'ètraduepersonechesipiaccionomanonsicapiscequanto'), che ti tengono arenati al passato e che hanno brutte ripercussioni pure sul presente-futuro. Insomma, manco a dirlo, questo è un guaio di quelli in cui sono gli altri a decidere per te: anzi, per la precisione, non è l'altra persona, ma tutto quello che c'è stato prima di te. 
Uno di quei guai, insomma, per il quale il passato è più importante del presente. 
Il punto del punto del problema, è che Gì ha già un suo bel guaio alle spalle, e non aveva proprio bisogno di altri guai. Ma inevitabilmente e inesorabilmente il suo essere così gì-osa l'ha cacciata di nuovo nei guai (in tutti i sensi possibili immaginabili). 

Per cui, che dire? L'anno nuovo è iniziato così, tra un sorriso (magari un po' amaro, lo ammetto) e la voglia di scegliere un posto abbastanza lontano da qui e dai guai e non tornare più. Per cui ecco che ritorno all'argomento principale del post (altrimenti dovrei cambiare il titolo, e proprio non mi va)... Questo 2012 non mi convince per niente! 
Mi sbaglierò?

Augurandovi un felice anno nuovo (almeno a voi), vi lascio anche con una domanda... ma solo io sono così diffidente nei confronti del nuovo anno? O c'è chi mi fa compagnia?!
Sospettosamente vostra,