lunedì 29 dicembre 2014

Bilancio e bilancia, they say.

Alla fine di Dicembre, due parole sono degli evergreen: bilancio e bilancia.

La seconda, la più temuta, ha tristemente a che vedere con i tre giorni (che non sono mai 3) di abbuffate, in cui gozzovigliamo come se non ci fosse un domani. Diciamo che quest'anno, colpa di un torrone al cioccolato fondente senza lattosio, senza uova e senza l'animacciadellezozzerieloro, anche io evito di salirci. Probabilmente ci vorrà uno scavo archeologico per recuperarla da sotto l'armadio e per toglierci gli strati di polvere e sedimenti che si saranno formati, quando sarà il momento di risalirci sopra. Ma ora non me ne preoccupo.
Direi calzante quanto detto da un mio amico: ricordiamoci, dopo il 26, di rimettere la bilancia 10 chili indietro.

La prima parola, invece, la sento spesso in bocca a molti miei amici.
I bilanci di fine anno mi hanno sempre messo un po' di malinconia. Diciamocela tutta, non siamo mai contenti al 100% di quello che abbiamo o non abbiamo fatto. A volte rimpiangiamo di non essere stati abbastanza o di essere stati troppo, altre abbiamo il rimpianto di non aver detto/fatto/osato... come se poi quel passato sia un pantano da cui non riusciamo ad uscire.

Io quest'anno ho deciso di buttarmi alle spalle rimorsi e rimpianti. E' una cosa che ho iniziato quando sono tornata da Malta, dove di rimpianti e di rimorsi ne ho lasciati a vagonate, e ho deciso di fare ogni anno. Portiamoci dietro il bello, il brutto che ci ha dato qualcosa, ma ricordiamoci che il passato è, appunto, passato.

Nonostante l'anno duro e difficile, questo 2014 mi ha lasciato tante cose belle, altre pessime (ma tutti i mali non vengono per nuocere) e molte sorprese ancora da scoprire.
Ecco, questo duemilaquattordici si è impegnato fino all'ultimo e mi ha sorpreso con una borsa di studio arrivata molto prima del previsto (e che ci ha permesso di distenderci un pochino di più, almeno durante le feste) e una mail dall'Inghilterra che, in poche parole, mi dice di aver vinto un posto da conferenziere al prossimo International Medieval Congress.

Ovviamente, tra un salto di gioia e l'altro, il primo pensiero è stato: "Ma come farò a parlare davanti a millemila persone con un microfono, visto che la mia voce sembra quella di un cartone animato?"
Poi, la scrollata di spalle e una bella risata all' "Immaginateli tutti in mutande" di papà.

Per questo 2015 vi auguro di poter sempre ridere e "immaginare le difficoltà in mutande", la forza di cambiare ciò che potete e la serenità di accettare quelle cose che ci cambiano, spesso in meglio.

Auguri di buon anno a tutti voi!
Con affetto
G

(La foto l'ho scattata a Malta, due anni fa)

mercoledì 24 dicembre 2014

Buon Natale!

Passo di qui come una cometa impazzita per dirvi: sì, sono ancora viva e...Tanti auguri a tutti voi!!! A presto per un bilancio dell'ultimo periodo (ho mille mila importanti notizie da raccontarvi!)

martedì 9 dicembre 2014

Pubblicità

Sulla scia di molti altri blog, anche io vorrei "pubblicizzare" qualcosina; per l'esattezza, vi presento un film che ancora non è uscito nei cinema, ma che arriverà in un paio di giorni.
Si chiama Storie Pazzesche e Gì lo ha visto in anteprima nazionale a fine Novembre (e con il suo solito tempismo sfasato ve ne parla dieci giorni dopo?, penserete voi).
Il film è di Damiàn Szifron ed è prodotto da Pedro Almodòvar: e questo, ragazzi, si sente. Potrebbe passare per uno dei figliastri del grande Pedro e nessuno se ne accorgerebbe. Ma il regista è stato grande, e c'è da dirlo.
Storie Pazzesche parla davvero di storie pazzesche. O meglio, di storie assolutamente normali e quotidiane, che diventano pazzesche. Tutte e sei le microstorie seguono lo stesso paradigma: una persona assolutamente normale perde il controllo in seguito ad un evento altrettanto normalissimo. Il motore scatenante, il deus ex machina è un'ingiustizia subita. E tutto si stravolge, diventa surreale, grottesco e picaresco, eppure assolutamente vero e genuino. Perché tutti, anche se non ne siamo consapevoli, siamo colpiti dallo stesso primissimo istinto, dopo aver subito un torto. La vendetta. E la vendetta, si può davvero dire nel caso del film di Szifron, non è mai stata così dolce!
Ops, spassosa.

Insomma, ve lo consiglio. Non svelo oltre, perché sarebbe spoiler, ma mi piace pensare che vi ho incuriosito abbastanza da farvi andare a vedere il film e, perché no, magari tornare e commentare qui per dirmi cosa ne pensate. Buona (eventuale) visione!

sabato 29 novembre 2014

Le ultime lettere di Gìacopo Ortis


Questa settimana intensissima è trascorsa alla velocità della luce. E quando le cose trascorrono alla velocità della luce, anche la mia testa monta su un carosello che assomiglia più ad una centrifuga.
Ieri stavo viaggiando sull'autobus di ritorno dall'università. E si sa che le migliori riflessioni nascono mentre il paesaggio  ci scorre sotto gli occhi. 
Ho passato l'intero viaggio a rispondere ai miei amici su quello strumento di tortura noto al genere umano come Whattsup. Dopo la fine dell'Erasmus, ho avuto appena il tempo di rimettere piede in patria che il mio cellulare risalente al paleozoico è deceduto. Mio papà, informatico fino al midollo, ha avuto la brillante idea di regalarmi lo smartphone. Ed eccoci qui. 
Mentre mi districavo in 5 conversazioni diverse allo stesso tempo, pensavo alle persone con cui stavo parlando. Tegolino, papà Telesforo, il mio amico Gigante, la mia amica Gnappetta e l'altra, Lenticchia. Ecco. Gnappetta e Lenticchia a parte, che abitano ad una considerevole distanza da me e che vedo solo dopo accurate strategie di pianificazione manco fossimo la NATO, mi sono resa conto che parlavo incessantemente con persone che vedo quasi tutti i giorni. E ho pensato: e se fossi nata 30 anni fa? Quando non esistevano cellulari, chat, Facebook o altre porcherie tecnologiche?
Come sarebbe stato il nostro rapporto? Più autentico? Più vero? Ci sarebbero stati meno filtri? Ci sarebbe stata quell'urgenza famelica di mettersi a nudo e raccontarsi tutto, che era tipica della generazione di mio padre, di Pier Paolo Pasolini, che nelle sue lettere mostrava un desiderio quasi patologico di mettersi in contatto con i suoi amici?
Sto leggendo la biografia di quest'uomo meraviglioso, e mi sono resa conto che io non scriverò mai lettere appassionate ai miei amici, raccontandogli di me, delle mie emozioni, bramando un momento della loro attenzione o una risposta da attendere nella cassetta delle lettere.
Per quanto si possa dire che la mia vita è, da brava letterata e medievista, decisamente all'insegna dell'anacronismo più assoluto, e della continua ricerca di contatto umano vero, autentico con i miei amici (leggendarie, ormai, le chiacchierate-fiume con Gnappetta o il Gigante), è altrettanto vero che per necessità e forse pigrizia ormai alcune forme di comunicazione sono visceralmente entrate a far parte della mia vita. Aborro Facebook, aborro le chat, ma uso il cellulare più di quello che vorrei.
Ed è strano che l'unico modo che ho di tornare a quella forma di comunicazione pasoliniana che tanto ammiro è tramite una rete wi-fi e un blog.
E parlo a voi, che siete gli unici che non vedo e forse non vedrò mai, a cui racconto di una vita lontana e sconosciuta, in un modo però che mi sembra comunque più genuino...più vero di qualsiasi messaggio scritto al volo da un telefono cellulare.

mercoledì 12 novembre 2014

Prospettive di vita

Ormai è un po' che non faccio altro che rimuginare sul futuro. Mi capita di chiudere gli occhi e di provare ad immaginare a cosa mi porterà tutto questo caos che è la mia vita universitaria (e non).

Nero.

Vedo proprio il buio. Ma non proprio in senso negativo. Non riesco ad immaginarlo, proprio no. Eppure le idee le ho abbastanza chiare. A cosa servirebbe accanirsi così tanto, sennò?

Versi e versi chauceriani tradotti, pagine e pagine di manoscritti ingialliti, Shakespeare, i Tudors, i morality plays... la mia vita la vivo così, con un piede nella letteratura medievale inglese e l'altro nella realtà di oggi, facendo il giocoliere e bilanciando tutto, il babbo disoccupato Telesforo, la mamma Dafne, Tegolino, il mio più grande amore a 4 zampe, le ripetizioni, i lavoretti occasionali, gli amici...

...poi ogni tanto mi prende la tristezza, perché in questo paese non c'è spazio per noi. Per noi anglisti, per noi medievisti, per noi studenti, per noi che guardiamo al futuro e speriamo di poterlo impastare come vorremmo, come sarebbe più giusto per noi e per tutti. E un po' mi prende anche il panico, perché so che io potrò andare via, forse, e continuare a studiare, a fare ricerca, magari perfino lavorare, in questo ambito così polveroso, fatto di cavalieri, re, regine, attori, versi e rime... ma mio padre, a cui un cuore fragile ha compromesso un impiego, che nonostante un'esperienza trentennale in un settore come l'informatica è considerato troppo vecchio, troppo preparato...semplicemente troppo.

E io penso che mio padre troppo non lo è. Lui è solo il mio papà, che ha sempre dato tanto perché io potessi vivere tutto questo e che si illumina di gioia quando gli sparo i miei soliti sermoni sul perché la poesia di John Donne è superba, mentre quella di Milton non mi piace.

E mi prende il panico perché, se me ne vado, chi si prenderà cura di lui, di loro, se non io?

giovedì 6 novembre 2014

Memorie di un Erasmus distratto #3 Welcome to Malta

Al ritiro bagagli, dopo l'atterraggio alla Lost, ebbi un primo assaggio del mio fantozziano e avventuroso futuro soggiorno maltese. Gli altri passeggeri, compresi i miei compagni di viaggio, facevano i fighi con le valigie belle che arrivate. Della mia, manco a dirlo, nemmeno l'ombra.
Il rullo continuava a girare, a girare, a girare e io lì, ad aspettare, aspettare, aspettare... Già mi immaginavo la scena, a dover arrivare a casa con solo il bagaglio a mano, dove, non so per quale logica, avevo messo due pigiami, le ciabatte e mezzo chilo di biancheria intima. 
"Certo le mutande non mi mancheranno!", pensavo, mentre fissavo il rullo in attesa del mio valigione rosa. Sì, rosa. Ma rosa Bigbabol, per capirci. L'idea era stata di mia mamma, affinché potessi riconoscere il mio bagaglio tra tanti. Eppure non avevo potuto testare la cosa, visto che il rullo era vuoto come il deserto del Gobi: alla fine andò a finire che ben 1 h dopo, il mio trolley gigantesco mosse i suoi primi passi in terra maltese. Lo avevano semplicemente dimenticato. 

La ricerca del taxi fu semplice, abituarsi alla guida tutt'altra cosa. Puoi essere preparato in mille modi sulle consuetudini di un paese straniero: ma niente potrà mai prepararti al colpo al cuore quando un taxi con la guida a sinistra prende una rotatoria al contrario a 90 km/h.
Ho pensato di morire seriamente, fino a che non siamo arrivati sotto casa, in un quartiere residenziale e un po' vecchiotto di un paesino chiamato San Gwann. Vorrei farvi notare che l'esatta pronuncia era 'San Giuàn'. Erano circa 20 minuti che parlavamo col tassista, insistendo nel dire 'San Guàn'. 

C'è da dire che preferimmo affittare un appartamento, piuttosto che andare nello studentato. I motivi erano svariati, dalla maggiore indipendenza, al fatto che lo studentato era un po' fuori mano. E forse io fui influenzata anche dalla presenza di P., che da oggi in poi chiameremo Tegolino, e dalla prospettiva di vivere sotto lo stesso tetto, dopo mesi di treni, metro, webcam.
Finalmente giunti a casa, ci siamo presentati a Simon, il nostro padrone di casa: ci aspettavamo di trovare un teutonico impiegato dell'università di Malta in giacca e cravatta (così come si era presentato mesi prima nel nostro scambio di mail); trovammo, invece, un piccoletto dall'aria trasognata e dagli occhioni blu, in calzoncini e infradito, che rideva ogni tre per due e che, lo capimmo dal modo in cui ci mostrò casa e il quartiere, non aveva la più pallida idea di quello che stava facendo. Ci congedò con un sorriso e con qualche allusione alla bellezza di Tegolino e F. e noi rimanemmo soli.
Sbrigate le questioni pratiche come fare la spesa e dividerci le stanze (a me e Tegolino toccò, di logica, la matrimoniale), finalmente trovammo il tempo di guardarci bene intorno. E fu uno shock. 
La casa era stupenda, ma era il corrispettivo maltese della casa del GF che incontra la Casa di Sam Raimi. Due esempi per il tutto: dopo un'ora e mezza di olio di gomito, scoprimmo che una padella che era in cucina era rossa, non nera. E che la tavoletta del bagno non era beige. Ma bianca.
Io ero inviperita. Mi sentivo defraudata, insultata, ingannata: ma come, pensavo, quest'isola è inglese, dovrebbero essere tutti precisi come Mary Poppins, e invece mi ritrovo come Schiava Isaura al servizio del Reame della Pulizia?!

Insomma, le nostre prime ore maltesi passarono così, tra un disinfettante e un piumino da spolvero. Mi fa sorridere pensando al fatto che nessuno di noi pensò alla soluzione più ovvia: chiamare il proprietario e fargli un cazziatone da record, di quelli che forse solo gli italiani sanno fare. E invece no, passammo ben 5 ore a bonificare la casa da ogni possibile traccia di sporco, germi e sozzura, finché a cena non ci ritrovammo intorno al tavolo della sala a mangiare un hot dog e a cercare di non addormentarci sui piatti pieni di ketchup. 

Chiamai i miei al telefono, temendo che se li avessi visti in cam sarei scoppiata in lacrime e li avrei supplicati di riportarmi a casa, ma solo dopo avermi messa in quarantena per 30 giorni.
Quando poi mi misi a letto con Tegolino, ci guardammo negli occhi. La luce era soffusa, si vedeva la luna dalla grande finestra. Lui era bellissimo, io indossavo il mio pigiama più fronzoleggiante e trasparente, ed era la prima volta che dormivo con il mio ragazzo. E anche la prima in cui fossimo così in intimità. Ci stringemmo forte, spegnemmo la luce...
...e un attimo dopo eravamo già a lì a russare come motoseghe

Welcome to Malta, diceva il cartello all'areoporto. You wish, pensai prima di addormentarmi.

 



sabato 18 ottobre 2014

Oki per Oki, Fazzoletto per Fazzoletto

Rieccomi qui. Here we go again.
Again, nel senso che, nonostante negli ultimi tempi la mia vita sia cambiata parecchio (vedi la laurea triennale e il ritorno in patria da Malta), mi ritrovo esattamente allo stesso punto di tre anni fa. Di nuovo matricola, di nuovo pendolare disperata alla perenne ricerca di un posto a sedere sull'autobus (della serie che la ricerca del sacro Graal mi fa un baffo), di nuovo lezioni su lezioni, traduzioni su traduzioni, le giornate che per tutti sembrano durare 48 h e per me solo 5-6... e quindi G è di nuovo in corsa verso la fine di una specialistica che è partita non proprio sotto i migliori auspici.

Per spiegare la mia crisi esistenziale attuale basta dire che, una volta che hai viaggiato e vissuto realtà diverse, tornare indietro non è sempre facile. Quando ti abitui ad accogliere i cambiamenti non riesci più a cristallizzare la tua vita. E' patologico.

Ma oggi vorrei parlare di qualcos'altro. Qualcosa di molto più subdolo e crudele dell'alzarsi tutte le mattine alle 6 (o alle 5.30, dipende) e fare la pendolare tra autobus che non partono e corse sovraffollate che si fermano per 2 h prima di ripartire. Ecco.Il CAMBIO DI STAGIONE

"Non ci sono più le mezze stagioni", diceva mia nonna. E io pensavo che erano frasi da matusa: invece no, ho dovuto ricredermi della sua infinita saggezza, un po' come Daniel con gli insegnamenti del maestro Miyagi. Lo testimonia il mio armadio che esibisce appesi vicini l'un l'altro, in sequenza, un vestitino di lino a fiori, una felpa invernale stile mi-sono-trasferito-al-polo-nord-in-pieno-dicembre e una maglietta a mezze maniche. Sostanzialmente, ogni mattina è come scegliere un pacco all'Eredità: guardo fuori dalla finestra, annuso l'aria e provo ad immaginare come sarà il tempo all'Università. Poi mi vesto e prendo l'auto. E miseramente fallisco.

Se arrivo col suddetto vestitino di lino e ballerine, Mosé mi accosta vicino e mi chiede se deve prenotarmi un posto sull'arca per tornare a casa. Se arrivo con la felpa, il caldo sahariano delle aule mi fa sciogliere come un ghiacciolo sotto il sole di Ferragosto. Se arrivo con la maglietta a mezze maniche, soffro l'uno e l'altro problema, alternatamente, nella stessa giornata.

E come se non bastasse, quasi a ridere delle mie disavventure, arriva LUI. Il temibile, leggendario, atavico raffreddore da temperature ballerine. Quello che occupa il tuo corpo abusivamente, insieme al signor Maldigola e alla signorina Febbre, talvolta portandosi dietro pure l'infante Tosse. 
La fame scompare e tua mamma ti dice che in questi casi sai cosa bisogna fare? Mangiare! (Lapalissiano).

Ecco. Immaginatevi dunque cosa voglia dire parlare tedesco e inglese in queste condizioni.
Ich muss den Text übersetzen, provavo a dire ieri. Qualcosa che suonava terribilmente come icbuzddettexubbesezze. Con colpo di tosse finale nel tentativo di aspirare l'ich.

In attesa che i microbi sloggino, volevo farvi un saluto e brindare (con l'Oki e il brodo di pollo) ad un nuovo anno scolastico/accademico/lavorativo... sperando che sia ricco di soddisfazioni e povero di fazzoletti e starnuti!

La terza puntata di "Memorie di un Erasmus distratto" arriverà a breve! Stay tuned!

Raffreddatamente vostra,

G

venerdì 26 settembre 2014

Memorie di un Erasmus Distratto #2 Malta in my mind

Dopo la proposta indecente di Pina, decisi di dare una chance a Malta. All'epoca, me tapina, sapevo solo che Malta è un'isola e che, quindi, è circondata dal mare. Nient'altro.

Spulciai sul web tutte le informazioni possibili, neanche fossi Jessica Fletcher, e le snocciolai ai miei con lo stesso entusiasmo di Piero Angela. Sostanzialmente, più che convincere loro, tentavo di convincere me stessa: ok, c'erano 40 gradi all'ombra tutto l'anno, niente neve, il mare blu, era stata colonia inglese fino al 1939 e tutto, a Malta, era vecchio e bianco. Ah, e c'erano i pastizzi, un tipico cibo da strada.

Questo era tutto quello che avevo da soppesare. In fondo, che partire fosse la cosa più importante l'avevo bene che capito e il pensiero di essere arrivata così avanti per poi rinunciare mi faceva storcere il naso. La mia leggendaria forza di volontà mi imponeva di non lasciare le cose a metà: avevo conquistato una borsa egregiamente, e meritavo di godermela. Ma c'era qualcosa che ancora non mi convinceva, e io non capivo bene perché.
Eppure, tutti i miei dubbi facevano da contrappeso ad un altro valido motivo per partire. Altre 4 persone sarebbero venute con me, rendendo la mia prima esperienza lontana da casa meno critica.
Il fatto che fossimo tutti e quattro amici mi sollevava un po' il morale. E nonostante non volessi vincolare quell'esperienza a nessuno, bensì farla solo MIA e di nessun altro... finimmo a firmare i contratti tutti insieme come i Power Ranger, nell'estatica ebrezza goliardica che solo un'esperienza del genere può metterti addosso.

Mi ricordo che i sei mesi prima della partenza tutto aveva il sapore agrodolce di quando sai che è l'ultima volta che fai qualcosa, magari anche solo per un po' di tempo. Eppure piano piano Malta mi aveva preso il cuore: il pensiero che sarebbe stata la mia META, il posto che mi avrebbe accolto e che avrebbe fatto di me una donna adulta, indipendente, iniziò a farmi dimenticare la tristezza, la paura, l'insicurezza, e fece di me una specie di panzer alto 1,50, totalmente concentrato sul proprio obiettivo. 

Ero diventata un caccia bombardiere. Diedi sei esami in un mese. Passai quella porzione d'estate rimasta con gli amici e trascurai bellamente i miei genitori. Avrei capito solo dopo quanto sbagliata fosse stata quella scelta.

E così il 21 settembre 2012 mi ritrovai all'areoporto con F., S. e P., con un valigione rosa stracarico e un groppo in gola che si dava il cambio ad un entusiasmo mai provato.

"Che fai, piangi?" dissi a mio papà.
E lui mi rispose "No, mi sudano gli occhi."

L'areoporto ci inghiottì e il mio Erasmus ebbe inizio.

mercoledì 24 settembre 2014

Memorie di un Erasmus distratto #1 -Perché decidere di partire è il primo passo.

Il mio Erasmus è iniziato con un ricatto psicologico.

-Se fai così, vuol dire che non mi ami.-
E tanti cari saluti a casa.

Con la stessa determinazione fantozziana nel resistere alle profferte dei mafiosi, ecco, io ho risposto qualcosa come: -Rifiuto l'offerta e vado avanti.- Ma da sola.

E' dopo la supermegarottura che, come in un raptus di follia, decisi di fare domanda (come probabilmente per il 99,9% delle donne che sono partite). Perché io l'Erasmus l'avevo sempre considerato come una specie di araba fenice, qualcosa che esiste, ma che non ha una forma fisica reale. Qualcosa come la leggendaria aula multimediale della mia facoltà, che tutti cercano e che sembra cambiare posto come la Stanza delle Necessità di Harry Potter.

Maturai l'idea di partire per un ritiro mistico tra le nebbie inglesi, in quello che sarebbe stato uno schiaffo morale a lui e l'estrema unzione della mia vita sentimentale, che a quel tempo mi pareva irritante e melodrammatica come Dawson's Creek. E no, nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. Nulla avrebbe potuto fermarmi, quell'unica borsa per il Regno Unito sarebbe stata mia, costi quel che costi: finalmente ero decisa e agguerrita come un gallo da combattimento, dovevo appropriarmi di quella fetta di vita che per anni mi ero negata nell'incosciente autosufficienza di una storia sghemba.

Inoltre, l'Inghilterra era il mio sogno da quando avevo imparato a pronunciarne il nome. E da quando era iniziata la mia carriera di linguista-specializzanda-in-letteratura-inglese.

All'epoca fare domanda era ancora qualcosa che, nella mia facoltà, destava sospetto e clamore. Fai domanda? Wow. Sei un mito. Ah, parti per l'Erasmus? Non perdi tempo?
Feci orecchie da mercante per due mesi, finché non consegnai tutto all'ufficio Erasmus, fiduciosa ma fatalista. 

La coordinatrice, Pina, calabrese d.o.c., con i suoi modi sbrigativi ed esuberanti, mi mise a disagio, facendomi una specie di 'colloquio' e snocciolando l'elenco delle borse disponibili per l'area anglofona, che ammontavano a:

-num. 1 per il Regno Unito
-num. 4 per Malta
-num. 1 per Copenaghen

Io, timida come nemmeno Mammolo davanti a Biancaneve in biancheria, cominciai ad iperventilare pensando al fatto che se questi erano gli auspici, avrei A) avuto serie difficoltà comunicative, perché le mie scarpe mi sembravano infinitamente più rassicuranti della faccia di chiunque mi stesse davanti e B) dovuto pregare tutti i santi del calendario per ottenere quella singola borsa.

Eppure rimuginavo, nei mesi di attesa che mi separavano dalle graduatorie, su me stessa nelle campagne inglesi a passeggiare come Elizabeth Bennet, o seduta alla finestra, la pioggia fuori, una tazza di tè (ogni tanto diventava cioccolata, a seconda dei casi), a riflettere e ad aspettare un'epifania, che mi rivelasse quale sarebbe stata la mia nuova vita senza TipoX. Volevo talmente riappropriarmi di me stessa, che divenni ancora più inferocita e bellicosa. William Wallace mi avrebbe fatto un baffo. 

Il giorno in cui uscirono le graduatorie, Pina mi chiamò al cellulare per dirmi di passare in ufficio, prima che venissero appese in bacheca. Io lo interpretai come un segnale, la fine, lo sgretolarsi dei miei sogni, eppure mi ripetevo -Nulla mi porterà via la borsa, nulla.-

Insomma, andò a finire che quel "nulla" si chiamava M.P. e risultò la prima in classifica con mezzo punto più di me. Pina mi fece i complimenti per essere la seconda in graduatoria e per la mia media alta e io mi ritrovai a lottare come Linus a cui strappano la sua coperta: mi avevano appena smontato tre mesi di fantasticherie. 

"Non capite! C'è un errore! E io dove vado a ritrovare me stessa!? Dove vado a perpetrare il mio silenzio stampa nei confronti dell'altro sesso?!"

Ma poi Pina mi guardò negli occhi, mi mise l'elenco sotto gli occhi e disse: "Beh, tu vai a Malta, no?"

...

martedì 23 settembre 2014

Carrambata


Nel mio blog rinato, vorrei fermare un istante, un battito di cuore, un sorriso, un abbraccio, un bacio sulla tempia, un piccolo gesto che scompiglia i capelli, il sistemarsi gli occhiali sul naso, di una "rinata" amicizia.

Un'amicizia quinquennale costruita su due incontri: tenera, assurda, a volte discreta, dimostra che in fondo spazi siderali sanno tenere vicine due anime affini più di strade strette e muri con finestre.

Ecco, oggi, anche se in un posto assurdo, io sono stata veramente felice.

lunedì 22 settembre 2014

Memorie di un Erasmus Distratto - Premessa


Il mio professore di Greco diceva sempre che essere distratti significa essere due volte concentrati.
Ecco, le mie memorie dell'Erasmus sono distratte, così concentrate che quasi non ci stanno nella testa.

E' difficile riassumere in un post un anno di vita all'estero, soprattutto quando è il tuo primo viaggio fuori dal nido: ed è difficile anche spiegare, soprattutto spiegarsi, il perché di un'assenza così colossale. Ecco, io credo di essere d'accordo con Luigi Pirandello, la vita o si vive o si scrive.

Insomma, l'ho vissuta, forse un po' troppo. E, se avrete pazienza, di post in post la racconterò.

Grazie se, per caso o no, siete finiti qui, a casa di Gì.