venerdì 26 settembre 2014

Memorie di un Erasmus Distratto #2 Malta in my mind

Dopo la proposta indecente di Pina, decisi di dare una chance a Malta. All'epoca, me tapina, sapevo solo che Malta è un'isola e che, quindi, è circondata dal mare. Nient'altro.

Spulciai sul web tutte le informazioni possibili, neanche fossi Jessica Fletcher, e le snocciolai ai miei con lo stesso entusiasmo di Piero Angela. Sostanzialmente, più che convincere loro, tentavo di convincere me stessa: ok, c'erano 40 gradi all'ombra tutto l'anno, niente neve, il mare blu, era stata colonia inglese fino al 1939 e tutto, a Malta, era vecchio e bianco. Ah, e c'erano i pastizzi, un tipico cibo da strada.

Questo era tutto quello che avevo da soppesare. In fondo, che partire fosse la cosa più importante l'avevo bene che capito e il pensiero di essere arrivata così avanti per poi rinunciare mi faceva storcere il naso. La mia leggendaria forza di volontà mi imponeva di non lasciare le cose a metà: avevo conquistato una borsa egregiamente, e meritavo di godermela. Ma c'era qualcosa che ancora non mi convinceva, e io non capivo bene perché.
Eppure, tutti i miei dubbi facevano da contrappeso ad un altro valido motivo per partire. Altre 4 persone sarebbero venute con me, rendendo la mia prima esperienza lontana da casa meno critica.
Il fatto che fossimo tutti e quattro amici mi sollevava un po' il morale. E nonostante non volessi vincolare quell'esperienza a nessuno, bensì farla solo MIA e di nessun altro... finimmo a firmare i contratti tutti insieme come i Power Ranger, nell'estatica ebrezza goliardica che solo un'esperienza del genere può metterti addosso.

Mi ricordo che i sei mesi prima della partenza tutto aveva il sapore agrodolce di quando sai che è l'ultima volta che fai qualcosa, magari anche solo per un po' di tempo. Eppure piano piano Malta mi aveva preso il cuore: il pensiero che sarebbe stata la mia META, il posto che mi avrebbe accolto e che avrebbe fatto di me una donna adulta, indipendente, iniziò a farmi dimenticare la tristezza, la paura, l'insicurezza, e fece di me una specie di panzer alto 1,50, totalmente concentrato sul proprio obiettivo. 

Ero diventata un caccia bombardiere. Diedi sei esami in un mese. Passai quella porzione d'estate rimasta con gli amici e trascurai bellamente i miei genitori. Avrei capito solo dopo quanto sbagliata fosse stata quella scelta.

E così il 21 settembre 2012 mi ritrovai all'areoporto con F., S. e P., con un valigione rosa stracarico e un groppo in gola che si dava il cambio ad un entusiasmo mai provato.

"Che fai, piangi?" dissi a mio papà.
E lui mi rispose "No, mi sudano gli occhi."

L'areoporto ci inghiottì e il mio Erasmus ebbe inizio.

mercoledì 24 settembre 2014

Memorie di un Erasmus distratto #1 -Perché decidere di partire è il primo passo.

Il mio Erasmus è iniziato con un ricatto psicologico.

-Se fai così, vuol dire che non mi ami.-
E tanti cari saluti a casa.

Con la stessa determinazione fantozziana nel resistere alle profferte dei mafiosi, ecco, io ho risposto qualcosa come: -Rifiuto l'offerta e vado avanti.- Ma da sola.

E' dopo la supermegarottura che, come in un raptus di follia, decisi di fare domanda (come probabilmente per il 99,9% delle donne che sono partite). Perché io l'Erasmus l'avevo sempre considerato come una specie di araba fenice, qualcosa che esiste, ma che non ha una forma fisica reale. Qualcosa come la leggendaria aula multimediale della mia facoltà, che tutti cercano e che sembra cambiare posto come la Stanza delle Necessità di Harry Potter.

Maturai l'idea di partire per un ritiro mistico tra le nebbie inglesi, in quello che sarebbe stato uno schiaffo morale a lui e l'estrema unzione della mia vita sentimentale, che a quel tempo mi pareva irritante e melodrammatica come Dawson's Creek. E no, nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. Nulla avrebbe potuto fermarmi, quell'unica borsa per il Regno Unito sarebbe stata mia, costi quel che costi: finalmente ero decisa e agguerrita come un gallo da combattimento, dovevo appropriarmi di quella fetta di vita che per anni mi ero negata nell'incosciente autosufficienza di una storia sghemba.

Inoltre, l'Inghilterra era il mio sogno da quando avevo imparato a pronunciarne il nome. E da quando era iniziata la mia carriera di linguista-specializzanda-in-letteratura-inglese.

All'epoca fare domanda era ancora qualcosa che, nella mia facoltà, destava sospetto e clamore. Fai domanda? Wow. Sei un mito. Ah, parti per l'Erasmus? Non perdi tempo?
Feci orecchie da mercante per due mesi, finché non consegnai tutto all'ufficio Erasmus, fiduciosa ma fatalista. 

La coordinatrice, Pina, calabrese d.o.c., con i suoi modi sbrigativi ed esuberanti, mi mise a disagio, facendomi una specie di 'colloquio' e snocciolando l'elenco delle borse disponibili per l'area anglofona, che ammontavano a:

-num. 1 per il Regno Unito
-num. 4 per Malta
-num. 1 per Copenaghen

Io, timida come nemmeno Mammolo davanti a Biancaneve in biancheria, cominciai ad iperventilare pensando al fatto che se questi erano gli auspici, avrei A) avuto serie difficoltà comunicative, perché le mie scarpe mi sembravano infinitamente più rassicuranti della faccia di chiunque mi stesse davanti e B) dovuto pregare tutti i santi del calendario per ottenere quella singola borsa.

Eppure rimuginavo, nei mesi di attesa che mi separavano dalle graduatorie, su me stessa nelle campagne inglesi a passeggiare come Elizabeth Bennet, o seduta alla finestra, la pioggia fuori, una tazza di tè (ogni tanto diventava cioccolata, a seconda dei casi), a riflettere e ad aspettare un'epifania, che mi rivelasse quale sarebbe stata la mia nuova vita senza TipoX. Volevo talmente riappropriarmi di me stessa, che divenni ancora più inferocita e bellicosa. William Wallace mi avrebbe fatto un baffo. 

Il giorno in cui uscirono le graduatorie, Pina mi chiamò al cellulare per dirmi di passare in ufficio, prima che venissero appese in bacheca. Io lo interpretai come un segnale, la fine, lo sgretolarsi dei miei sogni, eppure mi ripetevo -Nulla mi porterà via la borsa, nulla.-

Insomma, andò a finire che quel "nulla" si chiamava M.P. e risultò la prima in classifica con mezzo punto più di me. Pina mi fece i complimenti per essere la seconda in graduatoria e per la mia media alta e io mi ritrovai a lottare come Linus a cui strappano la sua coperta: mi avevano appena smontato tre mesi di fantasticherie. 

"Non capite! C'è un errore! E io dove vado a ritrovare me stessa!? Dove vado a perpetrare il mio silenzio stampa nei confronti dell'altro sesso?!"

Ma poi Pina mi guardò negli occhi, mi mise l'elenco sotto gli occhi e disse: "Beh, tu vai a Malta, no?"

...

martedì 23 settembre 2014

Carrambata


Nel mio blog rinato, vorrei fermare un istante, un battito di cuore, un sorriso, un abbraccio, un bacio sulla tempia, un piccolo gesto che scompiglia i capelli, il sistemarsi gli occhiali sul naso, di una "rinata" amicizia.

Un'amicizia quinquennale costruita su due incontri: tenera, assurda, a volte discreta, dimostra che in fondo spazi siderali sanno tenere vicine due anime affini più di strade strette e muri con finestre.

Ecco, oggi, anche se in un posto assurdo, io sono stata veramente felice.

lunedì 22 settembre 2014

Memorie di un Erasmus Distratto - Premessa


Il mio professore di Greco diceva sempre che essere distratti significa essere due volte concentrati.
Ecco, le mie memorie dell'Erasmus sono distratte, così concentrate che quasi non ci stanno nella testa.

E' difficile riassumere in un post un anno di vita all'estero, soprattutto quando è il tuo primo viaggio fuori dal nido: ed è difficile anche spiegare, soprattutto spiegarsi, il perché di un'assenza così colossale. Ecco, io credo di essere d'accordo con Luigi Pirandello, la vita o si vive o si scrive.

Insomma, l'ho vissuta, forse un po' troppo. E, se avrete pazienza, di post in post la racconterò.

Grazie se, per caso o no, siete finiti qui, a casa di Gì.