lunedì 5 dicembre 2016

Pensionata


Faccio davvero fatica a scrollarmi di dosso l'armatura che ho indossato negli ultimi mesi.
Quando da un "noi" lungo 4 anni anni sono passata ad un "io", ho avuto una reazione singolare, cioè quella di diventare una stakanovista. Non c'era per nessuno. Lavoravo, studiavo, lavoravo, studiavo e andavo con il pilota automatico.
Adesso, la mia vita si è fatta necessariamente così, a un ritmo scandito da capitoli di tesi da consegnare, compiti da correggere, treni, voti da mettere, lezioni da preparare...sapete che ho tenuto la mia prima lezione all'università? Bellissimo.
Ma il peso dell'armatura, a forza di portarla da troppo, è talmente forte che adesso mi schiaccia. Mi rendo conto che avrei dovuto toglierla prima o non indossarla affatto, perché relegare ogni emozione in un angolo ha fatto sì che alcune si incancrenissero. Mi rimprovero, perché non ho mai avuto paura di affrontare nulla, ma non ho bene affrontato tutto questo. Lo avrete capito facilmente, che qualcosa si è inceppato.

Ma tante cose si stanno impilando sul passato.
A Marzo devo consegnare tre papers, e se tutto va bene saranno le mie prime tre pubblicazioni! In questi mesi di totale assorbimento il mio cervello iperattivo ha prodotto qualcosina degna di nota, tra cui un saggio sul Mercuzio di Zeffirelli, uno su Nutshell di Ian McEwan (e, per Federica, questo è quello che sto leggendo in questo periodo!) e la mia tesi triennale su Marlowe.

A volte mi vedo come quelle persone anziane, che siedono placide col peso dei loro anni sulle spalle. Quello che questi mesi mi ha portato è un po' di attenta contemplazione, che ha imbrigliato il mio entusiasmo carnevalesco in una placida dedizione alla mia routine.

Ovviamente in tante cose sono sempre io, G nell'essenza: inciampo, i ragazzi a scuola sono più alti di me, e i colleghi in sala professori mi scambiano per una studentessa. Talvolta vado al cinema e passo giornate intere a ripensare a dei film, come nel caso di "Animali Notturni" (lo avete visto? Non è spettacolare?), oppure mi porto dietro, sul treno, tre libri diversi nell'indecisione di cosa leggere.

Oggi, per esempio, io e il ragazzo riccioluto ci siamo incrociati di nuovo: lui stava leggendo Philip Roth, "Everyman", e io ho alzato la copertina di "Le nonne" di Doris Lessing.
Questo è il mio periodo Dorothy Parker e Doris Lessing, tra parentesi, un periodo di polemica alle apparenze, all'ipocrisia della piccola borghesia e di quelli che vivono in villette e fingono di avere una vita perfetta, ingannando sé stessi e gli altri.
E anche di grasse risate, con Attila, Dolce e Tequila, le mie amiche, che, ognuna persa nel suo microuniverso, costituiscono l'unica costante dei miei giorni, in un momento della mia vita in cui tutto mi sembra accelerato e sfocato.

Di buono, poi, c'è che io e Tequila  andremo al concerto dei Lumineers insieme, giusto per cantare un po' a squarciagola e versare due lacrimucce.

Tra poco scendo dal treno e le bestioline mi aspettano. Vi mando un bacio e spero che questa G 2.0 vi piaccia sempre, anche se più assenteista e più contemplativa.

Sempre vostra, con tanto affetto (e sempre con le lentiggini, i capelli arruffati e gli occhioni da bambina).
G

lunedì 7 novembre 2016

Un sottopasso tra wasabi e castagne



Ho dato un taglio ad abitudini malsane, che stavano lentamente inghiottendo tutta la mia positività. La mia routine è caotica come sempre, ma stamani facevo caso a quanto è intessuta di dettagli di cui, mi sembra, sono l'unica ad accorgersi.
Il treno iperaffollato, fatto di teste chine sui cellulari e sui tablet, e quel sorriso complice di un ragazzo, lo stesso ogni mattina, che si scompiglia i ricci scuri e mi mostra la copertina del libro che legge, dopo che la prima volta che l'ho incontrato mi ha colta in castagna a cercare di sbirciare che libro stesse leggendo. È il mio vizio segreto. È un lettore settimanale come me, ogni settimana ci scambiamo un sorriso e un'alzatina di copertina per vedere a che punto siamo di cosa. E non ci parliamo mai. Ci piace così.
Poi l'odore di wasabi della stazione centrale, stranissimo e confortante, ormai, perché significa che ci sono arrivata in tempo.
Poi prendere la coincidenza usando il sottopasso, che è più veloce e facile, e che ho scoperto due mesi fa dopo anni. La gioia delle piccole cose, praticamente.
E poi la stazione della città in cui lavoro, che profuma di castagna anche se è quasi sul mare, e non so perché. E il tragitto in autobus dove posso ascoltare la mia dose di musica, che oggi vi lascio per fare il viaggio insieme.

Buona giornata amici miei.
Sempre vostra,

G

venerdì 7 ottobre 2016

E via il resto.

aR
Vi ricordate quando vi dicevo che la mia vita era piena di cose?
Ecco, io credo che prenderei la mia me di allora e le riderei in faccia, ora. Tu, stolta G del passato che non distinguevi tra una vita piena e una vita strapiena, tra un lieto fine e un'impasse gigantesca, adesso ti ritrovi con un nuovo lavoro tra le mani, anzi, 75 quattordicenni più alti di te che ti chiamano "professoressa" e che devi far arrivare vivi fino a Giugno, una tesi da scrivere e una vita da organizzare e zero tempo per farlo.

Quando la vita ti cambia così repentinamente di solito le soluzioni sono due: o ricominci tutto da capo o rimani fermo immobile. Io, ovviamente, non ho fatto nessuna delle due cose. Un po' perché mi sono resa conto che, io, non dovevo intraprendere nessuna mistica e improvvisa ricerca di me stessa. Non mi serviva perché, semplicemente, io mi sento intera da sola. Ricominciare a fare le cose da sola non è che abbia portato grandi sorprese con sé. Non avevo buchi neri o aspetti della mia vita insoluti, cose su cui lavorare. Avevo tanto da capire, però, e non tutto quello che ho capito ha necessariamente messo tutto in una luce migliore. Però ho capito anche che ci sono tanti modi di amare e, spesso, più che la persona giusta, serve sapere trovare un amore e un amare compatibile con il nostro. 

Mi sembra di aver disfatto la valigia solo da poco. Credo che non ho mai passato così tanto tempo lontano da casa da quando ero a Malta. A partire dal campeggio, dove G ha vissuto le sue solite mirabolanti avventure, tipo salvare un cagnolino smarrito, finire quasi al reparto gravi ustioni per montare un tendalino per fare ombra (l'ironia tragica, ovviamente, si spreca) e fare amicizia con i vicini di tenda che, impietositi dalla poca preparazione tecnica di cui ero provvista, mi hanno prima contrabbandato gli attrezzi per montare la tenda e poi sfamata a più riprese portandomi etti di carne sfrigolante di brace e invitandoli alla loro tavolata per un caffè. Ah, inoltre, un vicino di tenda che pareva fosse venuto per restare in quel lotto di terra brulla per tutta la vita (aveva persino il ferro da stiro in tenda) e che non mi ha mai, e dico MAI, rivolto parola (escluso qualche grugnito di saluto) per tutta la settimana, l'ultimo giorno si è talmente impietosito dai miei vani tentativi di richiudere la tenda a scatto da scendere dal suo podio di Campeggiatore Laureato fatto di ferri da stiro e sughi preparati sul fornelletto elettrico e aiutarmi, sempre grugnendo, a richiuderla.

Poi c'è stato il.weekend ad Ascoli e Amatrice per il concerto di Venditti, la più bella sorpresa di compleanno di sempre. Perché, in tutto questo, tra un'oliva ascolana e l'altra, G ha raggiunto il quarto di secolo. È davvero triste ripensare a quei luoghi che ho visto tutti integri, bello e pieni di vita e saperli ora morti, sepolti dalla polvere e dalla tragedia che li ha colpito solo un paio di giorni dopo la mia visita.

Poi c'è stata Malta, e il ritorno a "casa", con le mie amiche  Tequila e Attila, che sono state la cosa.piu incredibile di questi mesi. Non mi hanno mai abbandonata e hanno reso ogni giorno più luminoso e dolce che mai. Di Malta mi resteranno dei ricordi bellissimi, con loro, come la nostra escursione in gommone, la traveesata delle isole sul materassino, la cena all'una da PizzaHut e ordinare di corsa poco prima chr chiudesse la cucina, io che per risalire sullo scoglio dove ci stavamo asciugando mi sono grattugiata come il Parmigiano Reggiano sugli scogli sottostanti fino ad assomigliare ad una vittima di violenza domestica, il tramonto visto mano nella.mano con loro, o l'alba sedute su una panchina in riva al mare  dopo una nottata passata in discoteca, a sfuggire alle Palpatine di un'orda di tifosi scozzesi mezzi (ma mica tanto mezzi) ubriachi. E la sensazione che loro sono la mia famiglia adottiva e he le amo incondizionatamente.  

E poi, tempo di tornare e ripartire per il confine con la Francia, dove ho seguito dei seminari su Shakespeare, in mezzo al freddo e alle montagne più belle che io abbia mai visto, in pensione completa a ingrassare come vitellini, a forza di pane, miele e  e polenta.

E per il momento vi dico che sono felice, ho poco tempo per tutto, un nuovo lavoro ce insegnante a 80 km da casa mia, e, sebbene viaggi 6 ore al giorno, la tesi da scrivere e un lavoro da assistente da mantenere...sono felice e serena della mia vita. Esattamente così come è. Via, lontano, il resto.   


giovedì 22 settembre 2016

Ci è voluto un po'

Ci è voluto un po', lo so.
Però sono di nuovo qui, più incasinata che mai e più treno in corsa di quando vi ho lasciati.
Gli ultimi mesi sono stati pieni di eventi, un nuovo lavoro come assistente di regia, tanti bei viaggi e tante esperienze che tenevo nascoste nel cassetto da un bel po'.
Il mio primo viaggio con le amiche ha coinciso con il ritorno a "casa", a Malta, e mi ha portato un'ondata di ricordi, nuovi e vecchi, e tante, tante risate. E anche una bella contusione sugli scogli, tanto per gradire.
Il lavoro con il regista mi ha fatto entrare nel magico mondo dello spettacolo, mi ha procurato un quasi esaurimento nervoso e mi ha permesso di conoscere i meccanismi del teatro dal dietro le quinte. E anche di passare otto ore sul tacco 12 avanti e indietro per le scale di un museo.
E sono da poco di ritorno da un seminario di studi Shakespeariani, di cui mi è rimasto l'amore per la letteratura, tanti nuovi amici un po' più anzianotti di me e non, la possibilità di avere le mie prime due pubblicazioni e, per inciso, una sciarpa pagata 20 euro perché la mia l'avevo dimenticata.
Insomma, sono sempre G, non cambierò mai.
Vi racconterò molto altro nei prossimi post, ma nel frattempo vi lascio un bacio grande. Mi siete mancati, famiglia!

Sempre vostra.
G

lunedì 30 maggio 2016

Cosa ho imparato negli ultimi due mesi

Negli ultimi due mesi ho imparato molte cose. Forse è per questo che non sono riuscita a parlarvene. Ero lì che cercavo di capire un po' come stesse funzionando il mio mondo. Avete presente quando vi ritrovate in un mondo nuovo, tipo quello di Huxley, in cui devi imparare a muoverti da zero? Ecco, io ero lì a leggere il manuale delle istruzioni.
Ho imparato che essere indipendenti è un bene prezioso, ma che a volte lasciarci coccolare dalle amiche più strette è la panacea di tutti i mali.
Ho imparato che a volte bisogna dimenticare di pensare e fare le cose di pancia, senza troppi se e ma, e che bisogna circondarsi di persone che ti fanno ridere e che non devi sempre esser tu a far sorridere gli altri. Permetti agli altri di farti sorridere, mi dicevo.
Ho imparato che per Banana, l'allegra del sud, sono diventata una sorella, e sono felice perché per me lei è esattamente la stessa cosa. Mi è entrata nel cuore in punta di piedi e penso che non se ne andrà mai più.
Ho imparato che spesso la distanza, in una famiglia, non allontana i cuori. E quindi per la laurea di mia cugina le/ci ho regalato i biglietti per l'unica data italiana di Damien in Luglio. Per cui, per chi fosse lì, se vedete una nanetta lentigginosa con gli occhi a cuoricino, quella sarò io.
Ho imparato che l'amore è come un mobile dell'Ikea. Tu stai lì, metti in ordine i pezzi davanti a te e un po' ottuso e un po' innamorato, pensi di essere in grado di montarlo da solo, senza l'aiuto di nessuno. Tiri su la struttura ma poi ti accorgi che ti sono avanzate delle viti. E tu fai finta di niente, li metti da parte pensando che tanto non ti serviranno mai, che sicuramente c'è stato un errore. Finché poi ti accorgi che la struttura cade giù e tu non hai ben capito nemmeno come.
Ecco, la cosa più importante che ho imparato negli ultimi due mesi è che l'amore è come un mobile dell'Ikea, ma senza manuale delle istruzioni.
E che di manuali di istruzioni, nella vita, ce ne sono davvero, davvero pochi.

Sempre vostra, in via di ripresa
G

martedì 19 aprile 2016

Spent

Lo so che vi ho abbandonati. 
Ho appena visto il commento di Mari che si è impensierita e mi sono resa conto che dovevo fermarmi, almeno un minuto, e farmi sentire, dirvi che sto bene, o almeno credo.
Non so cosa abbia contribuito di più al mio silenzio. Togliere i denti del giudizio non è stata cosa facile, soprattutto a meno di due settimane dal supermegaconvegno, eppure, dopo essermi gonfiata come una zucca e aver resistito all'impulso di buttarmi dalla finestra per il dolore, mi sono sgonfiata e lanciata corpo e anima in questa grande e faticosissima esperienza che è stato il convegno in onore dei 400 anni della morte di Will. Oh, se sapesse che cosa abbiamo fatto, quanti treni, ore in piedi, pasti saltati solo per lui. 
L'esperienza è stata fantastica, avere le più grandi menti Shakespeariane nella stessa sala, a pochi passi, attaccarci bottone con ogni scusa, e vedere uno dei più grandi anglisti al mondo chiederti su cosa stai lavorando, TU!, piccolo esserino con un diavolo per capello che correvi a destra e sinistra per registrare gli ingressi, portare bottigliette d'acqua, ascoltare di nascosto gli speakers, sistemare microfoni e così via. MI sono resa conto di quante persone ci sono che amano quello che amo io, di che piccola grande comunità siamo, ognuno con i propri vanti, i propri spigoli e inclinazioni, e come le relazioni tra i "grandi" siano spesso una delicata e intricata partita a scacchi. 
E' stata la settimana (e il mese di grandi preparativi) più soddisfacente della mia vita, ma mi ha lasciata completamente spenta. Una terra desolata che fatica a riprendere le forze, i ritmi, i fili del discorso, ma che oggi è rientrata in facoltà in pompa magna e alla velocità di una Ferrari, lanciata di nuovo a tutta velocità contro un muro.
E in tutto questo il mondo non smette di girare. Perché non smette di correre? La giostra va veloce e la mia testa corre e corre e corre e io non mi sento pronta a raggiungere quei pensieri che mi precedono, e ogni tanto si girano e mi sorridono indulgenti, dicendomi "Tanto prima o poi dovrai affrontarci" e io mi nascondo, chiudo gli occhi e cerco di vivere minuto per minuto, e fallisco miseramente, perché mi sale l'ansia.
Ma dov'è finita tutta l'energia e il sorriso che avevo durante il convegno? Se per caso li incontrate, rimandateli da me.
Nel frattempo, vi abbraccio tutti e vi leggerò presto, piano piano, riprendendo i fili anche della vostra vita.
Con immenso amore,
G

lunedì 14 marzo 2016

Un filo rosso ciliegia


Guardavo le foto di noi due, le pose buffe, le facce più tonde, i sorrisi più timidi dei primi scatti insieme, con le rovine alle nostre spalle, qualche bacio, la mia foto preferita, in cui tu suoni la chitarra e io ti abbraccio, quei terribili pantaloni giallo fosforescente che portavi sempre, i miei boccoli più lunghi, quella maglietta blu che adoravo mettere, perché mi baciavi sempre le spalle scoperte, il naso spellato della nostra prima vacanza insieme.
Poi ho pensato a tutti i luoghi, alle cose fatte, ai musei visitati (ti ricordi quello dell'Oriente, dove ero rimasta incantata a guardare le porcellane cinesi? e quello della musica, dove tu mi spiegavi come funzionava la chitarra a sette corde? e quello d'arte contemporanea, dove ho passato quindici minuti dentro quell'installazione luminosa che odiavi tanto?), alle persone che hanno vissuto con noi giorni e notti, alle lezioni insieme, alla laurea, al nostro anno maltese, a quando abbiamo visto I Masnadieri a teatro, a quella prima notte, in cui ho capito che, vicino a te, il buio non mi faceva più così paura.
E ho sentito che il mio cuore è sempre teso verso di te. Ovunque sei, per quanto tempo starai via, il mio cuore è con te. Dovrà passare un altro anno e mi manchi tanto, ma c'è un filo, me lo immagino rosso ciliegia, che lega le nostre giornate, i nostri malumori e le gioie quotidiane. Se lo tiri, puoi sentirmi vicina. Se lo tiro, posso sentire il tuo respiro.

domenica 6 marzo 2016

Cose di cui mi sono resa conto in questi giorni

Cose di cui mi sono resa conto in questi giorni:

-essere assistente è faticoso. Ci sono tante cose in ballo, tipo la fiducia della Mente, bilanciare l'essere quel mezzo gradino sopra gli altri studenti e il non diventare un Cerbero a tre teste, fare mille cose, cercare anche di anticipare le richieste della Mente e quindi farne altre mille, e perfezionare la faccia da poker quando ti ritrovi in cattedra e davanti a te ci sono la cazzuta, la dolce, la romana de roma e l'allegra del sud, più le tue compagne con cui, parallelarmente, segui gli ultimi due corsi della carriera universitaria (ma da studentessa). Pensavo che avrebbe comportato una qualche spaccatura, che sarebbe stato difficile e che molti l'avrebbero vista come un affronto alle regole, ma il solo guardare il sorriso incoraggiante dell'allegra del sud, anche detta Gemella (tutti i professori sono convinti che siamo sorelle, perché ci somigliamo tantissimo), e percepire come i miei occhi le cerchino quando qualcosa fa ridere o quando devono assolutamente appuntarsi qualcosa di importante, beh, ha fugato i dubbi. Per ora.
Poi ovviamente ci sono i lati superpositivi, tipo poter consegnare pezzi della tesi in privato, senza fare ore ed ore di fila al ricevimento, e avere un feedback molto più spassionato e istantaneo nei momenti più impensabili, tipo la pausa durante la lezione o il percorso dallo studio all'aula. 

-forse questa tesi non è così disastrosa come pensavo. Ho avanzato un'ipotesi rischiosa, da prendere con le pinze e da presentare per iscritto con altrettanta chirurgica cautela. Se andrà in porto, sarà un po' il rock and roll degli studi shakespeariani, ammesso e non concesso di raggiungere un giorno tanta visibilità ed approfondire ulteriormente lo studio. Ad ogni modo, la Mente è entusiasta, e, considerando che mi aveva rifiutato l'argomento non appena glielo proposi per poi ripensarci, questo è decisamente un buon segno. 
Dopo aver delineato lo scheletro, poi, tutto comincia ad avere molto più senso nella mia testa, cosa che prima forse non potevo dire.

-generalmente siamo felici per i baci dati. Tipo, io sono felice che quel giorno ormai lontano Tegolino mi abbia baciata. Ma davvero davvero davvero felice. Però sono anche felice che il mio migliore amico non lo abbia mai fatto. Un Gigante è per la vita. O forse si può avere un solo Gigante nella vita e quindi te lo devi tenere stretto. Sta di fatto che è davvero confortante avere un amico vicino, che torna dagli States e ti porta una maglia, ma non si scorda la cartolina che gli avevi chiesto in principio, e che porta un bustone di caramelle per la prima serata cinema. Insomma, sono felice di poter contare su di lui.

-non riesco mai a scrivere i post che vorrei. Ne ho tanti in bozza, ma ho altrettante traduzioni (sono entrata da poco nel mitico mondo della traduzione occasionale freelance), lavori per il convegno e studio arretrato da fare, quindi niente, resto una blogger sconclusionata e tapina.

Vi lascio con Bob e con questa canzone, che ho sempre immaginato un po' come colonna sonora del mio cervello iperattivo. 
Un abbraccio globale!

venerdì 26 febbraio 2016

From Teutonia with love

Non credo sia mai passato così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento o dall'ultima volta che ho letto di voi. Sono davvero dispiaciuta. Ecco, però, se mi perdonate, che vi racconto l'ultimo mese.
La cosa più meravigliosa è stata sicuramente il viaggio in terra tedesca da Tegolino. Dio, quanto mi è mancato. E' stato uno di quei viaggi pieni, rotondi, tutti curve e morbidezze, che ti fanno sentire a casa anche se lontano mille miglia. Pieni di cibo, di risate, di cose nuove e di lui.
La sua casina da scapolone, tutta bianca e legno chiaro, con il padrone di casa russo che entrava agli orari più impensabili per finire di ristrutturare la seconda stanza mentre Tegolino era a lavoro e io in casa, imbacuccata come un befanino appeso alle bancarelle di Piazza Navona, a lavorare per il convegno shakesperiano o sulla tesi. Le chiacchiere con il signore russo, che bussava ed entrava in punta di piedi, e aveva una chiacchiera che, per la miseria!, mi ha costretto a superare il mio imbarazzo cronico nell'interagire in tedesco e a parlare, sbagliare dieci parole su nove, ma a parlare.
Sapevate che bistrot si fa risalire alla presenza russa a Parigi, quando i soldati russi misero i parigini a lavoro e urlavano "bistro! bistro!", che vuol dire "schnell, schnell!" o "veloce, veloce!"? Io l'ho scoperto da questo signore. O che in Giappone ogni verdura, indipendentemente da cosa sia o quanto pesi, costa come un euro? O che frutta come l'ananas in Giappone è una frutta da donare quando si è in visita a qualcuno e non una frutta da tutti i giorni? Eh, v'ho stupito, eh?!
Oh, intendiamoci, io ve lo riporto, ma considerate che me l'ha detto in tedesco, quindi potrei aver capito tutto il contrario...
Le giornate in casa ad aspettare il rientro di Tegolino in serata erano buffe, insomma, condite dalla presenza del russo, del lavoro incessante al pc, ma anche poi da quella dose di coraggio che mi ha spinto a uscire da sola, un giorno, e ad arrivare al centro per una passeggiata. La città era bellissima, una Venezia in miniatura, l'aroma delle Bäkerei dappertutto, e quel giorno c'era persino il sole. 
G, ovviamente, si è persa, è arrivata a piedi dall'altra parte della città, poi è tornata indietro, poi preso il tram ma scesa alla fermata sbagliata in mezzo ai boschi. Insomma, prendete una pallina da flipper, aggiungetele un cappellino di lana grigia, una sciarpona e i doposci peluccosi e avrete G su e giù per la Germania.
Ho riscoperto il sapore dell'insicurezza linguistica e culturale. Non mi ero mai data tanta pena nei miei viaggi. In UK sapevo che non avrei mai avuto problemi, in Spagna sapevo farmi capire, a Malta meglio ancora. Ma è vero che quando non sei padrone di una lingua non ti senti padrone di nulla, né dei mezzi di trasporto, dei menù nei ristoranti, né delle relazioni interpersonali. Però la cosa buona è che non ho mai, mai, mai parlato in inglese. Ho sempre usato il tedesco, anche se persa, nel panico e con zero idee su dove fossi o cosa dovessi fare. Quindi posso essere contenta di me stessa, dopotutto.
Sono felice di aver visto la vita tedesca di Tegolino. L'ho visto sereno, sicuro di quello che sta facendo, contento dei colleghi, che ho incontrato una sera in un locale messicano e con cui abbiamo parlato inglese, tedesco, italiano e spagnolo come nelle barzellette (C'erano tre italiani, due spagnoli, un'ungherese, un italotedesco allo stesso tavolo in un locale messicano. Decidono di andare a vedere The Revenant in inglese ma sottotitolato in tedesco...). 
Mi sono mancati tantissimo i suoi abbracci, rannicchiarmi contro il suo petto la notte, ridere con lui nel buio della notte, le sue carezze, andare in giro a cercare negozi di musica, sentirlo schiarirsi la voce in giro per casa, cucinargli il ragù, guardarlo negli occhi e sentirmi a casa, girare per casa, vedere i suoi maglioni, il suo spazzolino, sentire il suo profumo e, anche se sola, con un panzone russo a martellare nell'altra stanza, sentire di essere nel posto più bello del mondo.
E poi nostri tour culinari che ci hanno portato solo in locali tipici, ad assaggiare Schnitzel, Spätzle, Knödel, Maultaschen, Brezen -quanti ne ho potuti mangiare!- e, soprattutto, cioccolata, dolci, torte... Strudel!!!! Ecco, forse non vi ho detto una cosa di me: AMO, assolutamente VENERO qualsiasi tipo di dolce che contenga mele e cannella, i miei ingredienti preferiti. Lo Strudel, manco a dirlo, è il mio dolce preferito e ne mangerei quintalate a colazione, pranzo e cena (cosa che per poco si è concretizzata in Germania). 
Tutto con Tegolino è sempre assolutamente colorato, pieno, pittoresco, quasi da scriverci un romanzo. Un giorno ci siamo ritrovati in una bottega polverosa di un liutaio cieco che gestiva il negozio con una signora cinese tanto vecchia da sembrare un fossile di trilobite, vestita in abiti cinesi e con un tedesco perfetto. Tanto per citarne una.
La lingua, poi, è stata frutto di tante risate. Il tedesco di Tegolino è fantastico, ma quante risate quando il mio, ancora zoppicante, mi faceva capire le cose meglio di lui! Una sera incontriamo una signora tedesca: Tegolino stava facendo una foto, io lo guardavo e vedo avvicinarsi questa signora con una sua amica, che un po' preoccupata ci chiede "Können Sie uns helfen?". Io faccio per aprire bocca, ma Tegolino si gira, fa una faccia buffissima ragionando con gli occhi al cielo e fa "Ne, ne, dankeschön!"*. Io e la signora lo guardiamo ad occhi sbarrati e lei se ne va, un po' sconsolata. Al che mi giro e dico "Tegolino, ma non aveva bisogno di noi quella signora?". Lui sbarra gli occhi, io gli ripeto le esatte parole, ma con un accento molto meno bavarese, e lui le urla di tornare indietro, che aveva capito male.
Per non annoiarvi oltre, vi lascio con una delle canzoni colonna sonora della mia vacanza in Germania e vi lascio un bacio per uno.
G

*"Ci potreste aiutare?"
"No, no, grazie!".

martedì 2 febbraio 2016

Reazione a catena (e non è il programma tv)

Ve lo dico?
Ve lo dico.
No, non ve lo dico.
Ma sì, ve lo dico.
Ve lo dico?
Basta, ve lo dico.
Nella scaletta della mia tesi ho inserito un paragrafo che ho intitolato "When social planning backfires".
Ecco, nel mio caso attuale, potrei dire "When having no plans backfires".
E così è successo. Ricordate che ho fatto domanda per uno stage all'estero, pensando che mai avrei vinto la scholarship. Quando ci si mette in lista per questi stage in teoria si deve prima aver trovato un datore di lavoro. Io, se vi ricordate, ho fatto domanda a sei ore dalla scadenza, sotto un impulso che mi ha preso alla sprovvista. Ovviamente non avevo un'azienda pronta per me e questo mi aveva automaticamente convinto a non sperarci. 
L'anno scorso due mie compagne fecero domanda con due stage ben programmati a Berlino, le aziende pronte ad accoglierle con il comitato del benvenuto, ma non hanno superato la selezione.
Figurati. E invece ieri, bam, chiamo l'ufficio di competenza e mi dicono che sono in riserva e che ci sono abbastanza fondi da far partire anche noi in riserva. Ma quando lo cerco di proposito, tutto questo qlo, dove l'è?!
Da lì è iniziato un vortice senza fine. Neanche Flash Gordon avrebbe mai potuto fare più in fretta di me. 
Ore 11 scrivo in Inghilterra per chiedere se mi accetterebbero a lavorare all'ufficio Erasmus dell'università. 
Ore 14 mi precipito in studio dalla Mente e cominciamo gli ultimi orali di questo appello, tesa come una corda di violino al pensiero dell'immane opportunità che mi era appena piombata addosso senza il minimo preavviso. Ero talmente distratta che la prof ha dovuto farmi cenno più volte per esortarmi a correggere la lettura agghiacciante dei poveri malcapitati che facevano l'esame. Alcuni hanno trasformato il Richard II in un rap di 50 Cent. Alack.
Ore 16.45, in un momento di pausa, confido tutto alla Mente, che prontamente scrive una mail per chiedere a un suo ex studente di lì di seguire la mia pratica, se fosse possibile.
Ore 18, riprendo l'autobus e comincio a scrivere una cover letter.
E in tutto questo i miei non erano minimanente pronti alla notizia. Babbo era stoico, più o meno, mamma è caduta nello sconforto, praticamente ammettendo che li ho messi di fronte al fatto compiuto, che sarò lì da sola, senza nessuno.
Insomma, mamma è sempre la persona ideale se vuoi essere rassicurata.
E questa mattina, appena ho aperto gli occhi, ri-bam!, trovo lì la risposta che mi informava che sarebbero delighted di avermi lì e che aspettano la mia cover letter.
Oddio. 
Adesso ho capito il senso metaforico dell'espressione "prendere una tegola in testa in mezzo all'oceano Indiano". A me è arrivata proprio in fronte.
E adesso sono qui davanti al pc, a mangiare pane e cioccolata, e non so se cominciare a saltare di gioia o essere terrorizzata. 
Ci sono così tante cose in ballo. La tesi che potrebbe ritardare, una sessione di esami che potrebbe saltarmi e costringermi a dare l'ultimo esame solo il prossimo anno, io e Tegolino che quasi non ci incontreremmo, la borsa che non coprirebbe tutti i costi e tutti i soldi che dovrò mettere da parte.
Però ci sarebbe l'opportunità di fare un'esperienza da sola, finalmente, e riprendermi quell'Erasmus inglese in solitudine che non ho mai fatto, l'inglese che migliora, nuovi orizzonti professionali che potrebbero aprirsi, la Mente che mi ci manderebbe a calci se potesse e la tesi da poter preparare in una delle migliori biblioteche del Regno Unito.
Sento che ormai la reazione a catena è iniziata e non può essere fermata. Voi che dite?
Per la prima volta sto facendo davvero qualcosa ad occhi chiusi, senza il mio solito paracadute che consiste in un'attenta e precisa pianificazione, e non so se mi sembra liberatorio o mi spaventa a morte. Forse entrambe.
Tra dieci giorni, intanto, andrò a trovare Tegolino e passerò le giornate nel suo appartamentino bianco a scrivere la tesi, mentre lui sarà a lavoro, e le serate insieme a lui, a parlare e a valutare tutti questi grandi cambiamenti che ci stanno investendo, a ridere, a coccolarci e a chiudere gli occhi e sentirmi in pace, almeno per sette giorni. Non vedo l'ora.
Vi lascio con Andreas Bourani, le stradine del video che sembrano tanto quella in cui vive Tegolino, e questa dedica teutonica che ultimamente canto sempre a squarciagola, con Pagnotta in braccio.


mercoledì 27 gennaio 2016

Il buffo dei miei viaggi #1

Una cosa che non vi ho mai raccontato è il buffo dei miei viaggi.
Le cose più singolari e buffe che mi sono successe in giro per il mondo e in giro per l'Italia. 
Il pensiero è nato spontaneamente mentre l'altra sera Tegolino mi scriveva del suo nuovo bilocale tedesco alla James Stewart e mi diceva "Ti ricordi quando...?".
E io di quel "quando" non vi ho mai parlato, quindi eccomi qui.
Dunque. Ricorderete il convegno in Inghilterra a cui ho partecipato a luglio. Dopo la fine del convegno, abbiamo avuto due giorni liberi per girare un po' la città e i dintorni. Per me era la prima volta in Inghilterra, quindi affrontai la sfacchinata di due giorni da turista con stoico coraggio e con un certo perverso piacere. Avevamo il volo alle sei di mattina del 10, ma, furbi come faine, avevamo deciso di lasciare l'hotel il giorno prima, la mattina del 9, e girare con calma la città, prendere il treno in serata, arrivare in aeroporto in tarda serata, mangiare, dormire nel Terminal, un po' a turno, e prendere freschi freschi l'aereo alle sei di mattina del 10. Facile, no?
Ci dicevamo "beh, se queste cose non le facciamo ora che ancora possiamo, quando le faremo? Mica possiamo arrivare ai trentanni senza aver mai dormito una notte in aeroporto! Lo fanno tutti; che non ci riusciamo, noi?". Mai pensiero fu più azzardato. La giornata andò molto bene, camminammo, visitammo tutto il visitabile e alle cinque prendemmo il treno per l'aeroporto. Arrivati lì decidiamo di mangiare. Poi, come al nostro solito, attaccato bottone con la cameriera, scopriamo che l'aeroporto chiude alle dieci di sera e che, di notte, resta aperto solo un minimarket. 
"Cavolo!", pensiamo, "allora andiamo subito a fare i controlli, entriamo e facciamo un bel pisolino in attesa del gate.". Stolti.
Arrivati ai controlli, tiro fuori la mia bustina di plastica e rispondo, sorridente, alla signora che le distribuiva "No, thank you, I already have mine". 
E la tizia, bionda platino e con un cipiglio da pitbull, mi alza un sopracciglio e mi fa "Oh, yeah? Let me see". Le passo la bustina con tutti i miei mini flaconcini accuratamente misurati in quantità e misura, pensando "Ci ho messo dieci ore a travasare tutti i saponi, trovare i flaconi delle giuste dimensioni, è tutto in regola, all'andata non mi hanno fatto storie, non può farmele lei!". 
Lei mi guarda con un ghigno sadico e con la stessa crudeltà di Gargamella mi fa "This is too big, you need mine". 
Io strabuzzo gli occhi e ingollando la mia umiliazione mi ritiro in un angolo a travasare tutto il contenuto da una busta e l'altra. Tegolino mi raggiunge preoccupato e mi fa "Cavolo, adesso devo cambiarla anche io, la busta è uguale alla tua!" e torna di fronte alla signorina. 
"Is this okay?"chiede dubbioso, agitando la sua busta (che era identica alla mia!!!). 
La tizia, per tutta risposta, gli sorride e fa "Yes, you can go, that is fine".
Schiumante di rabbia e indignazione, con un Tegolino abbastanza incredulo dietro, arrivo alla porta per i controlli e passo la carta d'imbarco sullo scanner. Luce rossa.
Panico. Salivazione azzerata. Cuore fermo. Infarto in corso.
Alzo gli occhi alla signora davanti a me e pigolo "Why red?". Lei mi guarda altezzosa, butta un occhio alla mia carta d'imbarco e fa "It's too early, you should come back an hour before your flight".
Erano le dieci e mezza di sera. 
Non so se fosse stata la disperazione, il fatto che Tegolino avesse iniziato a stare male... abbiamo coerentemente abbandonato le nostre goliardiche intenzioni di passare la notte su una panchina e ci siamo ritrovati a fare un late check in in un B&B consigliatoci da un impiegato dell'aeroporto, che fu così gentile da chiamare e farci venire a prendere da "Frankie", il proprietario.
Una volta saliti in macchina e diretti all'ostello, Frank, un allegro pensionato ultrasessantenne con un nasone grosso e rosso, inizia a bersagliarci di domande, in un forte accento scozzese. Chi siete? Da dove venite? Dove andate? Come mai qui? E la mitragliata di domande continua anche una volta arrivati a casa sua, perché il B&B altro non era che una casetta di cinque camere, che una volta era stata la casa di Frank e di sua moglie. 
Finita la ricognizione iniziale, tra un ninnolo a destra e una foto a sinistra, ci ritroviamo nel suo salottino privato con lui e la sua au pair, lui scalzo e con i calzini bucati, noi distrutti e un po' sopraffatti dalla quantità di rosa, carta da parati a fiori e clown di ceramica (e voi sapete che io odio i clown) su tutte le pareti. 
Dopo aver praticamente fatto il terzo grado a Tegolino sul fatto che ero così bella e così in gamba e parlassi così bene inglese che doveva sbrigarsi a mettermi un anello al dito e diventare un uomo onesto, mi prende per mano e mi fa vedere tutte le foto di tutte e cinque le sue figlie e della defunta moglie, dicendomi che era un peccato che fossimo lì solo per una notte e che avrebbe voluto passare più tempo con noi, perché gli ricordavo le sue figlie.
Un po' inteneriti, ma con la stanchezza oltre i livelli di guardia, lo abbiamo salutato con un abbraccio e la promessa di tornare da lui se fossimo ricapitati da quelle parti dello Yorkshire (mentalmente, ho aggiunto alla promessa, "basta che non trovo più clown"), e ci siamo chiusi in stanza.
Tegolino, manco a dirlo, è crollato sul letto come il delfino in Free Willy. Io ho passato il resto della nottata a guardare Who wants to be a millionaire? in tv e a morire di freddo rannicchiata contro di lui. E ad evitare di guardare il clown di porcellana che torreggiava sul comò.
 Tegolino, ancora oggi, ogni tanto mi fa "Ti ricordi quando siamo finiti nel salottino di Frank?"

...a breve un altro resoconto, altrimenti raggiungerete l'età di Frank leggendo il post!
 

sabato 23 gennaio 2016

La scienza delle separazioni

Eccomi qui.
Tegolino è partito ieri. Ora è in Germania per lavorare e io qui, come direbbe Gigante, in tutta la mia broccolitudine (per i profani, dalle mie parti si dice "stare soli come un broccolo").
Ieri è stata una giornata lunghissima. Ho preso un treno, raggiunto la città di Tegolino, sono salita in macchina con lui e arrivata all'aeroporto. 
Quando l'ho accompagnato al gate ho cominciato a sentire un morso allo stomaco, come se ci fosse un uccellino chiuso a dibattere le ali. E ogni frullio mi risuonava nel petto, un po' come quando ascolti una canzone e senti gli accordi più malinconici vibrarti nella pancia. Ecco, ieri ho sentito tutti gli accordi della partenza nello stomaco.
Non che non fossi preparata, anzi. Sento, però, di non aver avuto il tempo di disperarmi un po', nella giusta misura. Ho consolato Gigante nel suo dolore oltreoceanico, incoraggiato Tegolino dove non trovata il supporto necessario, ho cercato, nel mio piccolo, di organizzargli il possibile, di dimostrarmi serena e tranquilla, come era giusto che fosse. Però un bel pianto mi è mancato e ieri me lo sentivo bloccato a metà tra gola e petto. 
Quando Tegolino è sparito in fondo al corridoio dei controlli, mi sono guardata attorno; il Terminal che sciamava di persone, riecheggiavano voci allegre, gruppi e coppie trascinavano i trolley, e io lì, nel bel mezzo di tutta quell'energia, piccola piccola, arruffata come sempre, che mi sentivo gli occhi ingigantirsi. Per qualche secondo mi sono sentita tremendamente e irreparabilmente sola.
Quei dieci secondi hanno avuto un retrogusto di panico. Poi, una signora, che aveva assistito al saluto mio e di Tegolino seduta poco lontano da noi, mi guarda, mi sorride e mi fa cenno di accettare un fazzolettino.
E lì sono successe due cose contemporaneamente: la prima è che ho sorriso e i 10 secondi di panico si sono interrotti, la seconda è che finalmente le lacrime sono state libere di uscire. Forse certe lacrime devono uscire in solitudine.
Ho pianto a più riprese, di quei pianti silenziosi e composti, intendiamoci, ma finalmente ho sciolto un po' il nodo: un po' al Terminal, un po' mentre ero sul tapis roulant diretta alla stazione dei treni dell'aeroporto, un po' sul treno diretto alla stazione centrale e un po' sul treno verso la mia città (insomma, ho preso una cifra di treni, che neanche Jake Gyllenhaal in Source Code). 
Poi, tornata a casa, mi sono buttata su Bradbury e immergermi nella testa di Montag mi ha calmata. Il che è un paradosso considerando che stiamo parlando di un piromane. 
La sera, poi, cinemino con Gigante, che mi ha praticamente spiegato tutto sul mondo del pugilato mentre guardavamo l'ascesa al successo di Adonis Creed in megaschermo e scovavamo tutti i rimandi al primo Rocky.
Gigante dice che devo stare su perché Tegolino non è così lontano come la sua Girasole, e che lo rivedrò molto prima di lei. Nella teoria ha ragione. Tegolino è in Germania, mica su Marte. Però non mi piace questo burbero modo di consolare gli altri, mettendoli sempre a confronto con il proprio peggio. Ogni dolore ha un gusto tutto suo. Ogni dolore ha il diritto di sfogarsi un po'. E forse la chiacchierata all'una su come funzionano gli inibitori della serotonina e la promessa di portarmi a vedere Joy e altri film che ho scelto io sono il suo modo di fare ammenda e riconoscere che è giusto disperarsi un po', anche se Girasole è dall'altra parte del mondo e Tegolino no.
Non è che esista una scienza delle separazioni, con delle regole precise. Tipo "la distanza tra i due partner è direttamente proporzionale alla nostalgia che i medesimi devono provare". Oppure "la distanza sta al tempo di percorrenza in aereo come la nostalgia sta alla frequenza delle visite". O, che so, "la nostalgia è inversamente proporzionale alla nostalgia che provano partner di relazioni la cui distanza è maggiore o uguale a 8000 km".
Insomma, oggi va meglio, ma ieri la broccolitudine è stata davvero pesante. Un po' come un anestetico. Però è ora di rimboccarsi le maniche, iniziare a scrivere questa benedetta tesi, assistere agli esami la prossima settimana e, se ci si riesce, nel frattempo dare un esame, trovare la risposta alla materia oscura, raggiungere la pace nel mondo e salvare la foresta pluviale. Le energie ce l'ho, il nodo è sparito e, anche se un po' più spenta, posso vivere la mia vita con la solita buona volontà!
Ho ricordato a me stessa, ieri, oggi, e probabilmente lo farò anche domani, che sono molto fortunata, perché ho qualcosa che rende così difficile dire "a presto".
E sono molto fortunata, perché ho voi che perdete tempo di leggere i miei sproloqui, nonostante tutto!
Un abbraccio
G

giovedì 14 gennaio 2016

Scrabble scribble

E' un periodo che ho voglia di scrivere, come facevo fino ad un paio di anni fa. Avevo un taccuino, color cartone e con un laccio di cuoio che lo chiudeva. O almeno che ci provava, perché lo riempivo di biglietti usati, brochures, scontrini, carte di caramelle, acquerelli dipinti su fogli volanti, ed era ondulato e irrigidito per essersi bagnato quella volta che mi si aprì la bottiglietta di acqua al limone nello zaino, e profumava di limone a metri di distanza.
Appena mi sembrava di pensare qualcosa che valesse la pena di mettere nero su bianco e impastarla e sottolinearla, sbarrarla, ingigantirla, io correvo ad aprire il taccuino. Scrivere è sempre stato terapeutico per me. Non sono mai stata in analisi o dallo psicologo, ma penso che funzioni bene o male allo stesso modo. Tu scrivi e mentre li scrivi i pensieri diventano chiari e ordinati, e più li scrivi più ne comprendi il significato.
Ora no. Ora non faccio altro che pensare, pensare, pensare. E ho pensieri troppo lunghi per me stessa, perdo il filo quando li penso. Mi capita di fare lunghissime pensate tra me e me, custodendo in quei momenti idee e immagini che da secoli aspettano di essere aggiunte ad un racconto scritto per metà.
In questi giorni, la sera provo ad aprire il pc e fisso lo schermo, in attesa che quei pensieri si rifacciano strada dalla mia testa alla punta dei polpastrelli, per pigiare i tasti e dar loro una forma concreta e pixellata. Ma niente, ogni volta che penso...penso in inglese. Non sono più in grado di descrivere la realtà in italiano. Pensate che esageri?
Non trovo mai un'alternativa in italiano che mi sembri altrettanto immediata e familiare come quella inglese. Immediata anche nel significato, che abbia in me lo stesso impatto e la stessa risonanza di quella minuscola, clipped, parola in inglese. I could just start typing in English and I wouldn't even blink an eye. I could just go on and on, rambling about life off the top of my head and, still, it would make perfect sense to me. Even though I'm doing it in English.
Ed ecco che mentre scrivo, inizio a scrivere in inglese. E poi dopo qualche riga mi accorgo che è inglese e torno indietro, cancello tutto, e frustrata provo a riscrivere in italiano. Credo di aver perso il dono delle parole. Almeno quelle nella mia lingua.
Ogni tanto mi sorprendo anche a fare cose bizzarre, come se mi osservassi dall'esterno. Devo contare quanti studenti sono in aula per distribuire il foglio e conto in inglese, la Mente che mi sente e sorride, divertita. Devo contare quante mele ho messo nel sacchetto? One... two... three... 
La notte mi addormento e sogno...in inglese. Sogno uomini che mi parlano in inglese e mi sento rispondere in inglese, sogno canzoni, programmi tv e conversazioni che la mattina ricordo con un misto di divertimento e di stupore. 
Insomma, il blocco dello scrittore prima o poi arriva...ma può essere causato anche da una crisi linguistica?

sabato 9 gennaio 2016

Sconcertanti verità



Nella vita siamo tante persone diverse. Un po' a seconda delle occasioni, un po' perché cambiamo.
Mi viene in mente quando avevo otto anni ed ero la bambola del condominio. Per tutti, i miei boccoli scuri e gli occhioni neri erano i punti focali della mia personalità. Non importa poi che avessi la risposta pronta e un caratterino ben pepato. Ero la bambola di porcellana del condominio.
A undici anni, ero la più alta dei miei cugini (bei tempi) e la nonna dei miei cugini mi chiamava Jo, perché ero uno spirito libero, mi arrampicavo sulla grande quercia di mio nonno con un bel libro in mano e mi nascondevo tra i rami per ore. A volte mi arrampicavo sulle balle di fieno, salvo poi tornare a casa piena di bolle perché ero allergica. Altre, raccoglievo le ghiande e i sassolini con i miei cugini maschi, me le infilavo in tasca e facevo a gara con loro su chi avesse la mira migliore e riuscisse a tirar giù le lattine vuote dal muretto. Io, strano ma vero, li battevo su tutta la linea. 
A quindici anni ero G la Santa protettrice delle cause perse dei miei amici, perché, come detto, ero sempre lì a consigliarli, anche quando si invaghivano della figlia di Claudia Schiffer e decidevano di uscirci vestiti come Sampei. 
Sono undici anni che sono la Nana di Gigante. L'Ape di Tegolino. Amore per i miei amici. In Erasmus, ero la tiny Italian, poi, una volta tornata, ero la laureanda della temibile Mente, poi sono diventata l'assistente della Mente, poi the girl on fire per il mio professore di traduzione, poi...poi...

Poi, stamattina, mentre ero a spasso con Pagnotta, sono diventata un'altra persona. Stamattina ero "la signora con i capelli arruffati e lo sguardo da pazza".
"Mamma, è vero che quando sarò vecchia non mi restringerò così?"

Ecco, cara bambina di cui ignoro nome e locazione, ringrazia che Pagnotta è piccolo e pagnottoso, altrimenti te lo avrei scagliato contro come una tigre!


mercoledì 6 gennaio 2016

I giorni dell'abbandono

Le feste sono passate in fretta, tra mangiate epiche e tempo in famiglia
 Abbiamo fatto trovare a mio nonno e al resto della famiglia la lettera di assunzione di mio papà sotto l'albero. Domani comincia ufficialmente a lavorare e anche con il botto, direi! Da neoassunto si trasforma in formatore, per tenere un corso al resto dei colleghi. Insomma, papà Telesforo non si smentisce mai! Del resto, le mie manie di grandezza devo pur averle riprese da qualcuno, no?!

Sono stati giorni particolari. I giorni dell'abbandono, come li ho chiamati per esorcizzare un po' l'ombra che li ha velati. Girasole è partita per l'altro lato del globo e starà via per il prossimo anno e mezzo. Gigante, ovviamente, ha accusato il colpo. Il "come" va a giorni alterni. Giorni che abbiamo praticamente passato tutti insieme. A farsi rimontare la targa alla macchina, ad andare al cinema per ben tre volte in una settimana, a mangiare un gelato in macchina a -5, a cercare un locale per mangiare pollo al limone a casa sua e commentare l'NBA, a farci le foto nelle cabine cercando la.combinazione giusta per il suo metro e ottantotto e il mio metro e cinquantacinque, a dividerci una pizza gigante, metà con e metà senza mozzarella, a mezzanotte passata, o a litigare sulla proporzione di caramelle alla Coca-Cola e di marshmallow nel sacchetto delle caramelle pre-cinema.
Non mi sono mai sentita così necessaria per Gigante. Né per Girasole, che dall'altro capo del mondo sfida il fuso orario per sfogarsi o per ringraziarmi di esserci per lui. Non So come andrà, benché ho piena fiducia in Gigante e anche nelle.mie doti di Grillo Parlante, ma so che sta facendo un grande lavoro e sono orgogliosa dell'impegno che ci sta mettendo. Non è più il mio Gigante folle e farfallone, ma gli voglio ancora più bene.
Forse ci unisce.il fatto che tra poco.più di dieci giorni "resteremo soli come due broccoli", o che dopo 11 anni la nostra amicizia assomiglia un po' al rapporto tra Sandra e Raimondo. 
Mi conforta che riusciamo ad incastrarmi così, malgrado lui sia un ipercritico orso bruno e io una nana con le maniera di controllo. Mi piace sapere di essergli d'aiuto e allo stesso tempo di essere semplicemente una specie di appendice del suo cervello o del suo corpo, come lui è per me. Anche se non ragioniamo mai allo stesso modo, o discutiamo per ore su chi vada nella top 3 degli attori tra i 45-50 anni, sento che Gigante c'è. E non posso non esserci per lui.

Ieri la giornata è stata molto lunga. Dopo non aver chiuso quasi occhio, io e Tegolino siamo stati al funerale di un suo amico di infanzia. Aveva 24 anni ed era tutta la vita che combatteva con la sua malattia. Eppure non ha avuto tregua e un tumore se lo è portato via, così. E il prete parlava del fatto che lui è in un posto migliore ora e ha preferito cantare una canzone di chiesa durante la messa piuttosto che far parlare una sua ex.professoressa, che aveva scritto un pensiero, molto dolce e confortante, su di lui. Mi chiedo con quale sicurezza si può affermare che un ragazzo che aveva tutta la.vita davanti, tutti i sogni, le scelte e le possibilità del mondo, sia in un posto migliore, ora. Ma come? Forse io non sono la persona migliore per fare certi discorsi, con la mia poca fiducia nelle istituzioni religiose e una fede ben poco solida. Ma per me, la vita, resta il posto migliore per tutti, soprattutto per coloro che non l'hanno ancora potuta vivere in pieno e in tutta la sua bellezza.

Alla fine della cerimonia ho detto a Tegolino che, semmai dovessi mancare prematuramente, vorrei che al mio funerale si leggesse Shakespeare, ci fosse un bel coro gospel e che tutti ridussero, si raccontassero aneddoto buffi su di me o barzellette.
Se ci fosse davvero un posto ad aspettarmi, vorrei almeno vedere i miei cari così, e non al freddo di una chiesa buia o sotto la pioggia scrosciante ad aspettare il mio arrivò.

Insomma, io lo dico pure a voi :-) Mi piace Louis Armstrong e Burt Bacharach, quindi, in caso, lo sapete! :-)

Un abbraccio collettivo, 
G