mercoledì 27 gennaio 2016

Il buffo dei miei viaggi #1

Una cosa che non vi ho mai raccontato è il buffo dei miei viaggi.
Le cose più singolari e buffe che mi sono successe in giro per il mondo e in giro per l'Italia. 
Il pensiero è nato spontaneamente mentre l'altra sera Tegolino mi scriveva del suo nuovo bilocale tedesco alla James Stewart e mi diceva "Ti ricordi quando...?".
E io di quel "quando" non vi ho mai parlato, quindi eccomi qui.
Dunque. Ricorderete il convegno in Inghilterra a cui ho partecipato a luglio. Dopo la fine del convegno, abbiamo avuto due giorni liberi per girare un po' la città e i dintorni. Per me era la prima volta in Inghilterra, quindi affrontai la sfacchinata di due giorni da turista con stoico coraggio e con un certo perverso piacere. Avevamo il volo alle sei di mattina del 10, ma, furbi come faine, avevamo deciso di lasciare l'hotel il giorno prima, la mattina del 9, e girare con calma la città, prendere il treno in serata, arrivare in aeroporto in tarda serata, mangiare, dormire nel Terminal, un po' a turno, e prendere freschi freschi l'aereo alle sei di mattina del 10. Facile, no?
Ci dicevamo "beh, se queste cose non le facciamo ora che ancora possiamo, quando le faremo? Mica possiamo arrivare ai trentanni senza aver mai dormito una notte in aeroporto! Lo fanno tutti; che non ci riusciamo, noi?". Mai pensiero fu più azzardato. La giornata andò molto bene, camminammo, visitammo tutto il visitabile e alle cinque prendemmo il treno per l'aeroporto. Arrivati lì decidiamo di mangiare. Poi, come al nostro solito, attaccato bottone con la cameriera, scopriamo che l'aeroporto chiude alle dieci di sera e che, di notte, resta aperto solo un minimarket. 
"Cavolo!", pensiamo, "allora andiamo subito a fare i controlli, entriamo e facciamo un bel pisolino in attesa del gate.". Stolti.
Arrivati ai controlli, tiro fuori la mia bustina di plastica e rispondo, sorridente, alla signora che le distribuiva "No, thank you, I already have mine". 
E la tizia, bionda platino e con un cipiglio da pitbull, mi alza un sopracciglio e mi fa "Oh, yeah? Let me see". Le passo la bustina con tutti i miei mini flaconcini accuratamente misurati in quantità e misura, pensando "Ci ho messo dieci ore a travasare tutti i saponi, trovare i flaconi delle giuste dimensioni, è tutto in regola, all'andata non mi hanno fatto storie, non può farmele lei!". 
Lei mi guarda con un ghigno sadico e con la stessa crudeltà di Gargamella mi fa "This is too big, you need mine". 
Io strabuzzo gli occhi e ingollando la mia umiliazione mi ritiro in un angolo a travasare tutto il contenuto da una busta e l'altra. Tegolino mi raggiunge preoccupato e mi fa "Cavolo, adesso devo cambiarla anche io, la busta è uguale alla tua!" e torna di fronte alla signorina. 
"Is this okay?"chiede dubbioso, agitando la sua busta (che era identica alla mia!!!). 
La tizia, per tutta risposta, gli sorride e fa "Yes, you can go, that is fine".
Schiumante di rabbia e indignazione, con un Tegolino abbastanza incredulo dietro, arrivo alla porta per i controlli e passo la carta d'imbarco sullo scanner. Luce rossa.
Panico. Salivazione azzerata. Cuore fermo. Infarto in corso.
Alzo gli occhi alla signora davanti a me e pigolo "Why red?". Lei mi guarda altezzosa, butta un occhio alla mia carta d'imbarco e fa "It's too early, you should come back an hour before your flight".
Erano le dieci e mezza di sera. 
Non so se fosse stata la disperazione, il fatto che Tegolino avesse iniziato a stare male... abbiamo coerentemente abbandonato le nostre goliardiche intenzioni di passare la notte su una panchina e ci siamo ritrovati a fare un late check in in un B&B consigliatoci da un impiegato dell'aeroporto, che fu così gentile da chiamare e farci venire a prendere da "Frankie", il proprietario.
Una volta saliti in macchina e diretti all'ostello, Frank, un allegro pensionato ultrasessantenne con un nasone grosso e rosso, inizia a bersagliarci di domande, in un forte accento scozzese. Chi siete? Da dove venite? Dove andate? Come mai qui? E la mitragliata di domande continua anche una volta arrivati a casa sua, perché il B&B altro non era che una casetta di cinque camere, che una volta era stata la casa di Frank e di sua moglie. 
Finita la ricognizione iniziale, tra un ninnolo a destra e una foto a sinistra, ci ritroviamo nel suo salottino privato con lui e la sua au pair, lui scalzo e con i calzini bucati, noi distrutti e un po' sopraffatti dalla quantità di rosa, carta da parati a fiori e clown di ceramica (e voi sapete che io odio i clown) su tutte le pareti. 
Dopo aver praticamente fatto il terzo grado a Tegolino sul fatto che ero così bella e così in gamba e parlassi così bene inglese che doveva sbrigarsi a mettermi un anello al dito e diventare un uomo onesto, mi prende per mano e mi fa vedere tutte le foto di tutte e cinque le sue figlie e della defunta moglie, dicendomi che era un peccato che fossimo lì solo per una notte e che avrebbe voluto passare più tempo con noi, perché gli ricordavo le sue figlie.
Un po' inteneriti, ma con la stanchezza oltre i livelli di guardia, lo abbiamo salutato con un abbraccio e la promessa di tornare da lui se fossimo ricapitati da quelle parti dello Yorkshire (mentalmente, ho aggiunto alla promessa, "basta che non trovo più clown"), e ci siamo chiusi in stanza.
Tegolino, manco a dirlo, è crollato sul letto come il delfino in Free Willy. Io ho passato il resto della nottata a guardare Who wants to be a millionaire? in tv e a morire di freddo rannicchiata contro di lui. E ad evitare di guardare il clown di porcellana che torreggiava sul comò.
 Tegolino, ancora oggi, ogni tanto mi fa "Ti ricordi quando siamo finiti nel salottino di Frank?"

...a breve un altro resoconto, altrimenti raggiungerete l'età di Frank leggendo il post!
 

sabato 23 gennaio 2016

La scienza delle separazioni

Eccomi qui.
Tegolino è partito ieri. Ora è in Germania per lavorare e io qui, come direbbe Gigante, in tutta la mia broccolitudine (per i profani, dalle mie parti si dice "stare soli come un broccolo").
Ieri è stata una giornata lunghissima. Ho preso un treno, raggiunto la città di Tegolino, sono salita in macchina con lui e arrivata all'aeroporto. 
Quando l'ho accompagnato al gate ho cominciato a sentire un morso allo stomaco, come se ci fosse un uccellino chiuso a dibattere le ali. E ogni frullio mi risuonava nel petto, un po' come quando ascolti una canzone e senti gli accordi più malinconici vibrarti nella pancia. Ecco, ieri ho sentito tutti gli accordi della partenza nello stomaco.
Non che non fossi preparata, anzi. Sento, però, di non aver avuto il tempo di disperarmi un po', nella giusta misura. Ho consolato Gigante nel suo dolore oltreoceanico, incoraggiato Tegolino dove non trovata il supporto necessario, ho cercato, nel mio piccolo, di organizzargli il possibile, di dimostrarmi serena e tranquilla, come era giusto che fosse. Però un bel pianto mi è mancato e ieri me lo sentivo bloccato a metà tra gola e petto. 
Quando Tegolino è sparito in fondo al corridoio dei controlli, mi sono guardata attorno; il Terminal che sciamava di persone, riecheggiavano voci allegre, gruppi e coppie trascinavano i trolley, e io lì, nel bel mezzo di tutta quell'energia, piccola piccola, arruffata come sempre, che mi sentivo gli occhi ingigantirsi. Per qualche secondo mi sono sentita tremendamente e irreparabilmente sola.
Quei dieci secondi hanno avuto un retrogusto di panico. Poi, una signora, che aveva assistito al saluto mio e di Tegolino seduta poco lontano da noi, mi guarda, mi sorride e mi fa cenno di accettare un fazzolettino.
E lì sono successe due cose contemporaneamente: la prima è che ho sorriso e i 10 secondi di panico si sono interrotti, la seconda è che finalmente le lacrime sono state libere di uscire. Forse certe lacrime devono uscire in solitudine.
Ho pianto a più riprese, di quei pianti silenziosi e composti, intendiamoci, ma finalmente ho sciolto un po' il nodo: un po' al Terminal, un po' mentre ero sul tapis roulant diretta alla stazione dei treni dell'aeroporto, un po' sul treno diretto alla stazione centrale e un po' sul treno verso la mia città (insomma, ho preso una cifra di treni, che neanche Jake Gyllenhaal in Source Code). 
Poi, tornata a casa, mi sono buttata su Bradbury e immergermi nella testa di Montag mi ha calmata. Il che è un paradosso considerando che stiamo parlando di un piromane. 
La sera, poi, cinemino con Gigante, che mi ha praticamente spiegato tutto sul mondo del pugilato mentre guardavamo l'ascesa al successo di Adonis Creed in megaschermo e scovavamo tutti i rimandi al primo Rocky.
Gigante dice che devo stare su perché Tegolino non è così lontano come la sua Girasole, e che lo rivedrò molto prima di lei. Nella teoria ha ragione. Tegolino è in Germania, mica su Marte. Però non mi piace questo burbero modo di consolare gli altri, mettendoli sempre a confronto con il proprio peggio. Ogni dolore ha un gusto tutto suo. Ogni dolore ha il diritto di sfogarsi un po'. E forse la chiacchierata all'una su come funzionano gli inibitori della serotonina e la promessa di portarmi a vedere Joy e altri film che ho scelto io sono il suo modo di fare ammenda e riconoscere che è giusto disperarsi un po', anche se Girasole è dall'altra parte del mondo e Tegolino no.
Non è che esista una scienza delle separazioni, con delle regole precise. Tipo "la distanza tra i due partner è direttamente proporzionale alla nostalgia che i medesimi devono provare". Oppure "la distanza sta al tempo di percorrenza in aereo come la nostalgia sta alla frequenza delle visite". O, che so, "la nostalgia è inversamente proporzionale alla nostalgia che provano partner di relazioni la cui distanza è maggiore o uguale a 8000 km".
Insomma, oggi va meglio, ma ieri la broccolitudine è stata davvero pesante. Un po' come un anestetico. Però è ora di rimboccarsi le maniche, iniziare a scrivere questa benedetta tesi, assistere agli esami la prossima settimana e, se ci si riesce, nel frattempo dare un esame, trovare la risposta alla materia oscura, raggiungere la pace nel mondo e salvare la foresta pluviale. Le energie ce l'ho, il nodo è sparito e, anche se un po' più spenta, posso vivere la mia vita con la solita buona volontà!
Ho ricordato a me stessa, ieri, oggi, e probabilmente lo farò anche domani, che sono molto fortunata, perché ho qualcosa che rende così difficile dire "a presto".
E sono molto fortunata, perché ho voi che perdete tempo di leggere i miei sproloqui, nonostante tutto!
Un abbraccio
G

giovedì 14 gennaio 2016

Scrabble scribble

E' un periodo che ho voglia di scrivere, come facevo fino ad un paio di anni fa. Avevo un taccuino, color cartone e con un laccio di cuoio che lo chiudeva. O almeno che ci provava, perché lo riempivo di biglietti usati, brochures, scontrini, carte di caramelle, acquerelli dipinti su fogli volanti, ed era ondulato e irrigidito per essersi bagnato quella volta che mi si aprì la bottiglietta di acqua al limone nello zaino, e profumava di limone a metri di distanza.
Appena mi sembrava di pensare qualcosa che valesse la pena di mettere nero su bianco e impastarla e sottolinearla, sbarrarla, ingigantirla, io correvo ad aprire il taccuino. Scrivere è sempre stato terapeutico per me. Non sono mai stata in analisi o dallo psicologo, ma penso che funzioni bene o male allo stesso modo. Tu scrivi e mentre li scrivi i pensieri diventano chiari e ordinati, e più li scrivi più ne comprendi il significato.
Ora no. Ora non faccio altro che pensare, pensare, pensare. E ho pensieri troppo lunghi per me stessa, perdo il filo quando li penso. Mi capita di fare lunghissime pensate tra me e me, custodendo in quei momenti idee e immagini che da secoli aspettano di essere aggiunte ad un racconto scritto per metà.
In questi giorni, la sera provo ad aprire il pc e fisso lo schermo, in attesa che quei pensieri si rifacciano strada dalla mia testa alla punta dei polpastrelli, per pigiare i tasti e dar loro una forma concreta e pixellata. Ma niente, ogni volta che penso...penso in inglese. Non sono più in grado di descrivere la realtà in italiano. Pensate che esageri?
Non trovo mai un'alternativa in italiano che mi sembri altrettanto immediata e familiare come quella inglese. Immediata anche nel significato, che abbia in me lo stesso impatto e la stessa risonanza di quella minuscola, clipped, parola in inglese. I could just start typing in English and I wouldn't even blink an eye. I could just go on and on, rambling about life off the top of my head and, still, it would make perfect sense to me. Even though I'm doing it in English.
Ed ecco che mentre scrivo, inizio a scrivere in inglese. E poi dopo qualche riga mi accorgo che è inglese e torno indietro, cancello tutto, e frustrata provo a riscrivere in italiano. Credo di aver perso il dono delle parole. Almeno quelle nella mia lingua.
Ogni tanto mi sorprendo anche a fare cose bizzarre, come se mi osservassi dall'esterno. Devo contare quanti studenti sono in aula per distribuire il foglio e conto in inglese, la Mente che mi sente e sorride, divertita. Devo contare quante mele ho messo nel sacchetto? One... two... three... 
La notte mi addormento e sogno...in inglese. Sogno uomini che mi parlano in inglese e mi sento rispondere in inglese, sogno canzoni, programmi tv e conversazioni che la mattina ricordo con un misto di divertimento e di stupore. 
Insomma, il blocco dello scrittore prima o poi arriva...ma può essere causato anche da una crisi linguistica?

sabato 9 gennaio 2016

Sconcertanti verità



Nella vita siamo tante persone diverse. Un po' a seconda delle occasioni, un po' perché cambiamo.
Mi viene in mente quando avevo otto anni ed ero la bambola del condominio. Per tutti, i miei boccoli scuri e gli occhioni neri erano i punti focali della mia personalità. Non importa poi che avessi la risposta pronta e un caratterino ben pepato. Ero la bambola di porcellana del condominio.
A undici anni, ero la più alta dei miei cugini (bei tempi) e la nonna dei miei cugini mi chiamava Jo, perché ero uno spirito libero, mi arrampicavo sulla grande quercia di mio nonno con un bel libro in mano e mi nascondevo tra i rami per ore. A volte mi arrampicavo sulle balle di fieno, salvo poi tornare a casa piena di bolle perché ero allergica. Altre, raccoglievo le ghiande e i sassolini con i miei cugini maschi, me le infilavo in tasca e facevo a gara con loro su chi avesse la mira migliore e riuscisse a tirar giù le lattine vuote dal muretto. Io, strano ma vero, li battevo su tutta la linea. 
A quindici anni ero G la Santa protettrice delle cause perse dei miei amici, perché, come detto, ero sempre lì a consigliarli, anche quando si invaghivano della figlia di Claudia Schiffer e decidevano di uscirci vestiti come Sampei. 
Sono undici anni che sono la Nana di Gigante. L'Ape di Tegolino. Amore per i miei amici. In Erasmus, ero la tiny Italian, poi, una volta tornata, ero la laureanda della temibile Mente, poi sono diventata l'assistente della Mente, poi the girl on fire per il mio professore di traduzione, poi...poi...

Poi, stamattina, mentre ero a spasso con Pagnotta, sono diventata un'altra persona. Stamattina ero "la signora con i capelli arruffati e lo sguardo da pazza".
"Mamma, è vero che quando sarò vecchia non mi restringerò così?"

Ecco, cara bambina di cui ignoro nome e locazione, ringrazia che Pagnotta è piccolo e pagnottoso, altrimenti te lo avrei scagliato contro come una tigre!


mercoledì 6 gennaio 2016

I giorni dell'abbandono

Le feste sono passate in fretta, tra mangiate epiche e tempo in famiglia
 Abbiamo fatto trovare a mio nonno e al resto della famiglia la lettera di assunzione di mio papà sotto l'albero. Domani comincia ufficialmente a lavorare e anche con il botto, direi! Da neoassunto si trasforma in formatore, per tenere un corso al resto dei colleghi. Insomma, papà Telesforo non si smentisce mai! Del resto, le mie manie di grandezza devo pur averle riprese da qualcuno, no?!

Sono stati giorni particolari. I giorni dell'abbandono, come li ho chiamati per esorcizzare un po' l'ombra che li ha velati. Girasole è partita per l'altro lato del globo e starà via per il prossimo anno e mezzo. Gigante, ovviamente, ha accusato il colpo. Il "come" va a giorni alterni. Giorni che abbiamo praticamente passato tutti insieme. A farsi rimontare la targa alla macchina, ad andare al cinema per ben tre volte in una settimana, a mangiare un gelato in macchina a -5, a cercare un locale per mangiare pollo al limone a casa sua e commentare l'NBA, a farci le foto nelle cabine cercando la.combinazione giusta per il suo metro e ottantotto e il mio metro e cinquantacinque, a dividerci una pizza gigante, metà con e metà senza mozzarella, a mezzanotte passata, o a litigare sulla proporzione di caramelle alla Coca-Cola e di marshmallow nel sacchetto delle caramelle pre-cinema.
Non mi sono mai sentita così necessaria per Gigante. Né per Girasole, che dall'altro capo del mondo sfida il fuso orario per sfogarsi o per ringraziarmi di esserci per lui. Non So come andrà, benché ho piena fiducia in Gigante e anche nelle.mie doti di Grillo Parlante, ma so che sta facendo un grande lavoro e sono orgogliosa dell'impegno che ci sta mettendo. Non è più il mio Gigante folle e farfallone, ma gli voglio ancora più bene.
Forse ci unisce.il fatto che tra poco.più di dieci giorni "resteremo soli come due broccoli", o che dopo 11 anni la nostra amicizia assomiglia un po' al rapporto tra Sandra e Raimondo. 
Mi conforta che riusciamo ad incastrarmi così, malgrado lui sia un ipercritico orso bruno e io una nana con le maniera di controllo. Mi piace sapere di essergli d'aiuto e allo stesso tempo di essere semplicemente una specie di appendice del suo cervello o del suo corpo, come lui è per me. Anche se non ragioniamo mai allo stesso modo, o discutiamo per ore su chi vada nella top 3 degli attori tra i 45-50 anni, sento che Gigante c'è. E non posso non esserci per lui.

Ieri la giornata è stata molto lunga. Dopo non aver chiuso quasi occhio, io e Tegolino siamo stati al funerale di un suo amico di infanzia. Aveva 24 anni ed era tutta la vita che combatteva con la sua malattia. Eppure non ha avuto tregua e un tumore se lo è portato via, così. E il prete parlava del fatto che lui è in un posto migliore ora e ha preferito cantare una canzone di chiesa durante la messa piuttosto che far parlare una sua ex.professoressa, che aveva scritto un pensiero, molto dolce e confortante, su di lui. Mi chiedo con quale sicurezza si può affermare che un ragazzo che aveva tutta la.vita davanti, tutti i sogni, le scelte e le possibilità del mondo, sia in un posto migliore, ora. Ma come? Forse io non sono la persona migliore per fare certi discorsi, con la mia poca fiducia nelle istituzioni religiose e una fede ben poco solida. Ma per me, la vita, resta il posto migliore per tutti, soprattutto per coloro che non l'hanno ancora potuta vivere in pieno e in tutta la sua bellezza.

Alla fine della cerimonia ho detto a Tegolino che, semmai dovessi mancare prematuramente, vorrei che al mio funerale si leggesse Shakespeare, ci fosse un bel coro gospel e che tutti ridussero, si raccontassero aneddoto buffi su di me o barzellette.
Se ci fosse davvero un posto ad aspettarmi, vorrei almeno vedere i miei cari così, e non al freddo di una chiesa buia o sotto la pioggia scrosciante ad aspettare il mio arrivò.

Insomma, io lo dico pure a voi :-) Mi piace Louis Armstrong e Burt Bacharach, quindi, in caso, lo sapete! :-)

Un abbraccio collettivo, 
G