domenica 31 maggio 2015

Il mio secondo premio di blogger: Liebster Award!

Grazie a Federica di Una ciliegia tira l'altra per avermi nominato nel Liebster Award! Sono sempre felice di sapere che nonostante sia una gran confusionaria, che mille ne pensa e cinquemila ne fa e dice, il mio angolino diventi un posto abituale da frequentare per divagare un po'.
Come da regole, devo rispondere alle 10 domande pensate per me da Fede e porne a mia volta 10 ai miei nominati.
Ready? Curiosiamo nella vita di G!

1. Il posto più bello che tu abbia visitato
Fino ad ora, il posto più bello che abbia mai visto è l'Azure Window di Gozo, una finestra di roccia naturale che si sta assottigliando sempre di più! Probabilmente nel giro di vent'anni crollerà, quindi sono felice di averla vista per tempo!


2. Il libro più significativo per te
To Kill a Mockingbird di Harper Lee, è il mio libro preferito, quello per cui il mio cuore si è spaccato a metà per la commozione e l'empatia che mi suscita ogni volta il personaggio di Atticus. Scout mi ricorda moltissimo me alla sua età... e mi ci rivedo persino ora che ho più del doppio dei suoi anni! Probabilmente non smetterò mai di essere Scout, neanche da nonna.

3. Il quadro che hai visto dal vivo che più ti ha colpito
Le tre età di Gustav Klimt.
Quello che adoro di Klimt è che mi dà la sensazione di guardare attraverso un pozzo, che ogni suo quadro abbia mille risonanze! 

4. Il cibo che ti manca di più quando sei lontano da casa
Generalmente se posso non mi faccio mai mancare nulla quando viaggio, o sperimentando tutto lo sperimentabile, o, come a Malta, cucinando come se non ci fosse un domani. Di solito, però, mi mancano le polpettine di melanzane che fa sempre mia mamma, che non riesco mai a replicare!

5. Un post, uno solo, a cui sei particolarmente legato
Probabilmente il post con cui ho ricominciato a scrivere, ovvero la prima puntata di Memorie di un Erasmus Distratto. Se non mi fosse venuta voglia di raccontare le mie esperienze maltesi, non so se avrei mai ricominciato a scrivere (e a divagare, trasformando il blog in un melting pot di cose).

6. L'animale più strano che hai visto
Una specie di enorme ed oblunga ape rosso vermiglio, con ali da libellula e un becco lungo come quello di un colibrì. Neanche a dirlo, l'ho vista a Malta.

7. Il posto più lontano in cui sei stato
Considerando che quest'estate andrò in Inghilterra per la prima volta, rispondo Atene (almeno, credo, in linea d'aria), la mia prima volta all'estero!

8. Il paese che più vorresti visitare
Mi piacerebbe moltissimo visitare l'Islanda e la Lapponia, dei luoghi davvero incredibili! In generale mi piacciono tutti i paesi dell'estremo nord, freddo e neve non mi spaventano. Vorrei poter vedere l'aurora boreale e perdermi nella pace della natura estrema.

9. La capitale più bella mai vista
Fino ad ora... Barcellona. Mi è rimasta nel cuore, con tutti i suoi mille colori, il sole, l'odore del jamon e della paella nella Boqueria, il quartiere gotico e Parc Guell!

10. Il mare più bello dove tu abbia mai nuotato
Probabilmente il mare di Gozo e Comino, in generale quello maltese. Era talmente blu che gli occhi ti facevano male a guardarlo!

Quindi, faccio gli onori di casa e nomino a mia volta dei blog che ho scoperto da poco (non recenti, ma chi se ne importa) e a cui pongo queste 10 domande:
1. Qual'è l'esperienza che ti ha più segnato nella vita?
2. Il tuo libro preferito?
3. Il momento più bello della tua vita?
4. Perché hai deciso di aprire un blog?
5. Se potessi scegliere tra una vita breve e gloriosa e una lunga e serena, cosa sceglieresti?
6. Qual'è la tradizione italiana che preferisci?
7. E quella straniera?
8. Il viaggio/la gita più estrema mai fatta?
9. C'è un luogo che non visiteresti mai?
10. E perché?

In più, ad onor del vero, vi consiglio di leggere tutti i blog nel mio blogroll, perché sono spazi interessanti, curati da persone interessantissime!

Ringrazio di nuovo Fede dolcissima e vi mando un abbraccio globale.
Logorroicamente vostra,
G

giovedì 28 maggio 2015

Memorie di un Erasmus Distratto # 5: Il coinquilino rompe sempre due volte

Finalmente riprendo il filo del discorso per il quale ho deciso di aprire il blog. Dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità sul mio Erasmus. 
Parte imprescindibile di ogni Erasmus sono i conquilini. Non importa che tu viva in residence o in appartamento, non si scampa dai coinquilini. Sono come il morbillo. Prima o poi devi prenderlo.
Io decisi di divedere casa. Mai scelta fu più azzardata.
Il problema di quando conosci qualcuno e lo consideri anche un buon amico, è che devi prima viverci insieme per dire di conoscerlo. E questo vale più o meno per tutti i tipi di coinquilini. 
C'è il Promiscuo, che ogni sera porta a casa una ragazza diversa, disseminando in giro le prove delle sue malefatte. Magari il provolone segue un corso di francese con te... però, per quanto ci provi, non gli riesce di sedurre l'attraentissima e giovanissima insegnante.
Oppure la Finta Salutista, che un giorno accompagni a fare spesa. Trova una tisana diuretica che, a confronto, un serbatoio di Rocchetta è acqua piovana e, furba come una faina, decide di comprarla per buttare giù i chili di troppo che la "ritenzione idrica" le ha portato. E fin qui...
Poi, di ritorno dall'università, apri la porta di casa e dalla cucina arriva la svampa di fritto, lo sfrigolio incazzoso delle padelle e vedi il bancone della cucina sotterrato da contenitori di insalata russa (ci avremmo potuto sfamare tutta l'isola), pollo fritto e di polenta rinfornata.
Dopo aver consumato il consumabile, si alza da tavola e con nonchalance mi chiede "La metto su anche per te la tisana?!"
Poi quello che comunica con messaggini sul telefono e post-it, anche se tu sei nella stanza accanto. Esce a fare la spesa? Lascia un post-it. Butta qualcosa di tuo dal frigo perché è nella sua parte? Tranquilli, prima la butta e poi ti chiede se era da buttare. Con un messaggino ovviamente. La mattina ti imbatti in lui? Non dice buongiorno. Al massimo usa un post-it per dirtelo, due o tre ore dopo. Roba che casa diventa la replica del set di A Beautiful Mind.
Non so cosa sia più inquietante, se il fatto che usi i piccioni viaggiatori per parlare con i suoi coinquilini, o che lo trovi alle cinque del mattino sul divano a piangere guardando l'ultima puntata del suo telefilm preferito. 
Poi potremmo elencare i coinquilini occasionali, visto che la casa si trasforma spesso e volentieri in una specie di ostello della gioventù. 
Vai in giro mezza nuda per casa, dopo aver fatto la doccia? Ecco che ti imbatti nell'amico del cugino del compagno di studi del compagno di progetto dell'amico spagnolo del tuo coinquilino. Ti svegli la mattina alle sette ed entri in cucina per fare colazione? Ti trovi l'amica della coinquilina che fa i saluti al sole nel soggiorno. I tuoi coinquilini hanno ospiti a cena e ti chiedono di cenare tutti insieme? Ti ritrovi a cucinare per otto, di cui un monaco buddhista crudista che non mangia cose che proiettino ombra.
Ma poi, la diplomazia serve sempre? Io non ne sono mica tanto convinta!

domenica 24 maggio 2015

Maratoneta

Sono reduce da un bel settimanone. Ho dato un esonero, presentato un progetto, lavorato (bis), macinato i soliti chilometri avanti e indietro per la regione, discusso discusso discusso, e dopo tanto socializzato un po' con i miei amici.
Oggi ho fatto un giro di shopping con una mia compagna di corso, una delle persone margherita di cui vi parlavo qualche post fa. Allegra e napoletana doc, è la persona adatta con cui ritrovare il sorriso e ridere fino alle lacrime. 
Vi ho già accennato di Gigante, il mio amico orso buono. Forse non vi ho detto che ci conosciamo da più di dieci anni, e che mi ha letteralmente vista crescere (non più di una manciata di cm, però), e che è una specie di teutonico e nerboruto Giacomo Casanova dei nostri tempi. La nostra amicizia si è sempre basata su un semplice principio: io sono il suo Grillo Parlante, lui una specie di fratello maggiore misto ad un life coach misto alla personificazione del mio Es. Io sono un tempio, terra santa e incontaminabile, lui risorsa infinita di buon umore e stimoli positivi. Ce la intendiamo particolarmente per la nostra passione comune per il cinema, che ci porta spessissimo al cinema insieme e a delle conversazioni infinite sui film che vediamo.
Mercoledì, per esempio, siamo andati a vedere Mad Max, Fury Road. Ho letto dopo che ha ricevuto enormi consensi dalla critica: sarò io profana ma, a parte gli spettacolari effetti speciali, non è che mi sia rimasto particolarmente impresso (degno di nota, però, il chitarrista metal che suonava bendato sul tettuccio di un camion).Voi che ne pensate?
Parlare con Gigante mi piace perché non siamo mai d'accordo su nulla, ci contraddiciamo in continuazione, ma è anche spassoso interagire con lui, che non è mai banale né superficiale nelle proprie opinioni. Mi piace essere sua amica perché nonostante non sia mai serio, sa osservare il mondo in profondità.
In uno dei suoi rari momenti di serietà, mi ha dato una bella lezione l'altra sera. Mi ha detto che da quando ero una piccolina di quattordici anni (lui ne aveva diciassette)
mi ha vista prendere affrontare la vita con fermezza, prendere decisioni difficili incurante delle conseguenze e diventare una donna ancora più forte e indipendente. Ma allo stesso tempo mi ha detto che per chi non è forte come me comportarsi allo stesso modo è difficilissimo, quasi impossibile, e io forse non me ne rendo abbastanza conto.
A volte credo di essere troppo severa con gli altri, soprattutto con le persone che amo di più. Però non è semplice rallentare il passo, come dice Gigante, e ogni tanto mi chiedo anche se sia proprio giusto farlo. Ecco, forse devo ancora imparare a capire dove inizia il compromesso e dove finisci tu.

giovedì 21 maggio 2015

Pensieri sui binari

Sono sul treno, torno a casa dal lavoro e osservo tutti gli altri viaggiatori. Pensavo che avrei voluto scrivere da casa, dal mio fidato pc Malto, ma è proprio ora il momento giusto, anche se sarà uno dei miei post senza punti e a capo, senza immagini... Sto pensando a quanto sia bello il sorriso di una persona che siede di fronte a te e guarda le foto dei figli o del proprio compagno. Penso a quanto siano confortanti e intime e indecifrabili le braccia non familiari di qualcuno che ti stringe, così, senza troppe esitazioni. Penso a quanto disperato a volte sia il bisogno di parlare con qualcuno, anche solo del tempo o di banalità rassicuranti. A come inaspettatamente la vita ti presti un conforto che magari dura pochi giorni e poi scappa e ti lascia un po' inebedito. Penso a quante ore passo sui treni e sugli autobus e a come dovrei sembrare da fuori, se i miei pensieri siano visibili come un'appendice o un bagaglio, così fisicamente presenti e pressanti come li sento io. A cosa vedono gli altri nei miei "occhi grandi da bambina", come li hanno chiamati ieri, e se anche a loro sembrano quegli abissi densi come di catrame in cui inevitabilmente si impantanano i miei pensieri e restano lì immobili e frustrati alla portata di tutti. Penso che a volte certi momenti sono troppo brevi o arrivano troppo tardi e che invece i viaggi sul treno sembrano durare sempre più di quanto tu sei pronto ad accettare. Perché certi pensieri corrono più veloce di loro.

domenica 17 maggio 2015

Briciole di felicità

Quando ho iniziato questo lavoro non avevo idea di quello che mi avrebbe aspettato. Non solo perché non avevo mai insegnato ad un gruppo di bambini, ma anche perché non si trattava più di fare ripetizioni una volta a settimana e arrivederci e grazie. Ci sono di mezzo moltissime responsabilità, il sapersi rapportare a tanti tipi di genitori diversi, apprensivi, lungimiranti, affettuosi, lassisti, ma soprattutto saper essere una buona insegnante ed anche un buon esempio.
Questi bambini passano la loro giornata tra i banchi di scuola, vedono sempre le stesse maestre, fanno le cose quasi meccanicamente (prendi la scheda, tagliala, incollala e colorala) e vivono in un piccolo paesino. E in un piccolo paese è difficile abituare i propri figli a guardare "fuori" dalla realtà che vivono, ad informarsi, ad interessarsi a qualcosa che non è offerto da quel piccolo nucleo abitativo di tot abitandi. E giorno per giorno mi sono resa conto che la responsabilità più grande che ho non è assicurarmi che scendano le scale senza farsi male, che tutti i genitori li vengano a prendere, che non percepiscano il mio dissenso verso la loro maestra di inglese che ha fatto un lavoro pessimo (fanno fatica a distinguere singolare e plurare o a ricordare il verbo essere e distinguere i pronomi personali).
La mia più grande responsabilità è quella di introdurli non solo ad una lingua, ma ad una cultura diversa, nuova. Il mio compito è quello di fargli capire che fuori dal loro paesino c'è altro, molto altro. Che possono diventare internazionali.
Il tutto è nato da una domanda che mi ha lasciato un po' perplessa. Quando ho detto loro che studio anche il tedesco, oltre che all'inglese, uno di loro, G., 10 anni, mi ha chiesto se esistessero libri scritti solo in inglese o in tedesco, come noi abbiamo quelli scritti in italiano.
Ecco, io mi sono chiesta perché mi avesse fatto una domanda così. Possibile che la loro maestra, dopo due anni che fanno inglese, non gli abbia mai fatto leggere un libro per bambini in inglese? E così, da quel giorno, ho cominciato a fare caso al loro feedback su alcuni argomenti, e mi sono resa conto che non conoscevano (tra le tante cose puramente grammaticali e non) le tradizioni pasquali inglesi (l'Easter Rabbit? E chi è?), né le tipiche canzoncine che insegnano a tutti i bambini inglesi della loro età, né la storia di Santa Claus. Forse io ebbi una maestra diversa, ma ricordo che alla loro età sapevo già un mucchio di cose sulla cultura inglese.
E quindi ho deciso che oltre il mio doveroso programma ai fini dell'esame, avrei provato a spiegare loro il più possibile su quello che stanno imparando, al di là della grammatica. Ho parlato loro dell'Easter Rabbit, della regina Elizabeth, del fish&chips, anche di Shakespeare e, più in generale, di cosa può significare vivere la lingua inglese, non solo impararla. E per alcuni è diventata la parte più bella della lezione, tanto che mi dicono di voler diventare insegnanti di inglese anche loro, di voler fare l'università. Si può dire che forse li ho ispirati un pochino? Non so se è passeggero, ma sono felice così.
All'inizio avevo paura che non ce l'avrei mai fatta. Mi chiedevano di andare in bagno in inglese, un po' balbettando, e io cinguettavo 'Yes', pregando che tornassero indietro sani e salvi. Parlavo con i genitori e vedevo che alcuni mi osservavano come se fossi troppo giovane persino per essere presa sul serio mentre davo loro del lei. E se qualche bambino aveva difficoltà dovevo farmi coraggio e parlarne a quattr'occhi con il genitore di turno, che spesso si profondeva in giustificazioni, adducendo i mille impegni del figlio, campione regionale di sport, primo flauto della banda, devoto prossimo alla comunione. Poi c'erano i bimbi con cui avevo più difficoltà: uno, G., che mi trattava con sufficienza e non mi sorrideva mai. Sembrava fosse sempre arrabiato con me, per intenderci. Eppure già da due lezioni il nostro rapporto è cambiato. Io non tento più di guadagnarmi la sua fiducia e lui sembra molto più felice di vedermi. Sorride molto di più e sembra sempre contento di venire interrogato. Mi ha persino disegnato un bel pinguino, quando ho chiesto a tutti di disegnare il loro animale preferito. Ho pensato che fosse un buon modo di conoscerci meglio e di osservare il loro modo di vedere il mondo. Dai disegni dei bambini si capiscono molte cose. In particolare, L., il più timido e silenzioso di tutti, ha disegnato un pappagallo meraviglioso. Non ho mai visto un bambino disegnare così. Era del tutto realistico, proporzionato. Ma ho notato che sotto i colori tratteggiati tenui e molto sfumati, c'era una cancellatura. L. aveva disegnato il pappagallo prima con le ali aperte, ma poi ci ha ripensato e lo ha fatto con le ali chiuse. E credo che siamo molto significativo.
Ecco, io vorrei insegnare a questi 25 bambini ad aprire le ali della mente e imparare a viaggiare con i pensieri, così da poter viaggiare fisicamente un giorno ed accettare a cuore e mente aperta tutto quello che le altre culture hanno loro da insegnare. Oltre i confini del rassicurante.

domenica 10 maggio 2015

Buona Festa della Mamma!

Oggi ho passato molto tempo con la mia mamma.
Noi due ci amiamo moltissimo, ma discutiamo altrettanto. Forse perché abbiamo entrambe un bel caratterino, come dice papà, forse perché non posso proprio dire di essere tutta mia madre, anzi, il contrario. Però di aspetto sì, eccome, e mi diverto a guardare quei segni comuni, che sono poi uguali in tutte le donne della mia famiglia, come se ci avessero fatte con lo stampino. Io e mamma abbiamo le stesse guance piene, le stesse sopracciglia lunghe, gli stessi occhi a mandorla, per non parlare di quei riccioli appena accennati che nelle foto di famiglia ci fanno assomigliare ad I Cugini di Campagna.
Mi ricordo che da piccola ero fiera della mia mamma, dei suoi capelli rosso fuoco, della sua voce d'usignolo e del fatto che fosse una cantante. Mi vantavo del suo talento artistico, di quello che pazientemente, oltre al naso, agli occhi e ai capelli, mi aveva trasmesso, come l'amore per la musica ed il canto, per l'arte e per la pittura, per l'artigianato e la cucina. Ero felice che lei fosse come la vedevo, forte, indipendente e battagliera.
Ora il nostro rapporto è diverso, io sono una donna, e lei mi tratta da tale. Mi confida i suoi problemi con papà, le sue insicurezze, le preoccupazioni giornaliere, e io la vedo per quella che è in realtà. Non più Wonder Woman, ma una donna fragile, che ha sofferto tanto, e che lotta tutti i giorni per non farsi soffocare dalla situazione poco serena in cui viviamo. Ed ho capito che una mamma non è esente dall'avere bisogno di aiuto, e che molto spesso l'unico aiuto siamo noi
figli, che diventiamo i genitori della situazione. Non sempre è facile invertire i ruoli, soprattutto quando tu per primo senti di aver ancora molto bisogno della tua mamma.
Però spesso lei è di nuovo lì, la supereroina torna, con i suoi scoppi di buon umore, in cui ci facciamo il solletico o giochiamo a nascondino con il nostro cane, o inventando ricette gustosissime anche se andrebbe fatta la spesa, oppure con le serie tv di cui non ci perdiamo una puntata, o con l'entusiasmo con cui racconta di me e della mia vita al resto della famiglia.
E penso che in questo sì, sono tutta mia madre, perché mi ha insegnato che anche tra le nuvole si trovano raggi di sole e che bisogna solo aspettare che ci illuminino il viso per goderne, anche se per poco.
Auguri mamma, ti amo.

lunedì 4 maggio 2015

Occorre tanto


Occorre tanto per conoscere davvero qualcuno.
La pazienza, perché molte persone non rivelano tutto e subito di sé. Anzi. Molto spesso si incontra gente che è un po' come Pollicino, che vive la sua vita lasciando per terra mollichine di pane, affinché tu, prima o poi, decidi di seguirle. Le briciole però sono piccole, non ti saziano mai, e ti lasciano sempre desideroso di arrivare alla tavola imbandita. Queste persone-pollicine non dovrebbero essere mai giudicate, almeno finché non arrivi al dessert, e ti capita quello alla frutta, mentre a te piace il cioccolato. O quanto meno puoi dire la tua quando loro, timidamente, ti hanno detto tutto tutto, guardandoti da sotto le ciglia e sbirciandoti in attesa di una risposta.
Poi ci vuole voglia, perché senza la voglia di conoscere non esiste alcun percorso. Ulisse viaggiava perché era affamato di conoscenza. Ecco, bisognerebbe essere un po' come lui, ma attenti a non divorare chi ci è di fronte. Soprattutto c'è bisogno di essere disposti ad accettare quello che l'altro ci dà e ad aver voglia di condividere quel che è nostro.
C'è bisogno di tempo, che sembra non bastare mai, ma che è l'unica dimensione attraverso la quale il percorso si snoda e si complica. Tempo per ascoltare, per dire, per sorridere, per ricordarsi che, anche se in balia della corrente, se facciamo un paio di bracciate in più, ci ritroviamo in compagnia, per ricordarsi che non ci siamo solo noi, ma anche gli altri, che aspettano una nostra parola, e tempo per crescere e invecchiare un po' insieme.
Serve la capacità di indossare la sua pelle di tanto in tanto. Di solito siamo così stupidamente convinti di avere l'esclusiva del dolore, della gioia, delle preoccupazioni, della vita, in generale. Eppure bisognerebbe chiedersi come sarebbe infilarsi nella pelle e nelle emozioni di chi ci vive accanto. 
Per conoscere un uomo devi capire il saggio, il bambino imbronciato, l'adolescente scapestrato, l'amante insaziabile. Per conoscere una donna ricordarti la bambina vestita da principessa, la madre premurosa, l'amica indecisa, la ragazza innamorata. Conosci qualcuno anche attraverso il modo in cui vede il mondo. Come io leggo i vostri blog e guardo il mondo filtrato dai vostri occhi. 
Lo conosci davvero quando ti soprendi con lui di ciò che lo soprende, quando capisci perché ama ciò che ama e odia ciò che odia, quando, se chiudi gli occhi, sai di che colore vede il mondo, nonostante tu lo vedi di una sfumatura diversa. Io vivo il mondo tinto di verde, di blu e di arancio, e voi?
E poi occorre tanta lungimiranza. Capire ed accettare se quel qualcuno ci cambierà la vita, in bene e in male, se potrà arricchirci, rubarci qualcosa, che sia il cuore, la mente o il tempo, o se in tasca ha quel pezzo di puzzle mancante che potrebbe combaciare con quello che hai tu, anche solo per un momento.
Ma più di ogni altra cosa, per conoscere davvero chi ti è vicino occorre che tu conosca te stesso. Altrimenti, a forza di essere oscuri a noi stessi, si è oscuri anche agli altri.