lunedì 30 marzo 2015

Sotto le nuvole della Toscana

 Ecco qui un breve e nostalgico resoconto del weekend senese.
Se potessi descriverlo in poche parole direi: cibo, colline, nuvole, marmellate (lo so, rientra nel cibo, ma meritano una menzione speciale) e salite.
Ci voleva proprio, staccare dalla routine e fingere, anche solo per un weekend, che le nostre preoccupazioni maggiori fossero scegliere tra la fiorentina e i pici al sugo, o se vedere prima il duomo o prima la mostra su Mario Luzi.
Siamo partiti un'uggiosa mattina di venerdì, e già in partenza il viaggio è stato archetipo di tutti i nostri viaggi in auto. Io che alzo il volume della musica e canto un'ottava sopra a tutte le canzoni, Tegolino che lo abbassa di tanto in tanto, io che lo prego di rialzarlo e che intanto lotto contro il navigatore per guadagnarmi tutta la sua attenzione.
Dopo una breve sosta, che ci siamo concessi per vedere l'eclissi, ma no, niente, noi, al contrario degli altri fermi in Autogrill, non avevamo le lastre del femore del nonno per vederla. Giuro. Ho visto più ossa rotte in quell'Autogrill che nello studio del mio ortopedico.
Quando siamo arrivati a Monteriggioni, la primavera ci ha accolto. Non solo questo borgo medievale è un classico e ben preservato esempio di castello-villaggio medievale, con tanto di torri, chiesetta e mura di vedetta, e un bel museo delle armature da visitare, ma è, come da nome, ben in alto, a torreggiare sull'intera valle. Il sole era caldissimo, così tanto da farmi abbronzare, e da intontirci per il Chianti che abbiamo mandato giù.
Dopo questo bel pomeriggio primaverile, siamo arrivati al nostro agriturismo: un casale con tanto di pollaio e stalla per le pecorelle su una collina, sperso nel nulla e circondato solo da colline, alberi e silenzio. Il posto più bello dove abbia mai passato le vacanze ultimamente. C'era una pace densa di odori, colori e sapori di cui, mi sono accorta, avevo decisamente bisogno. Forse quando ci si rilassa tutti i colori sembrano più brillanti, i sapori più intensi e gli odori più piacevoli. Mi manca il verde delle colline tutto intorno, il silenzio ricco di cinguettii e del belare delle pecore, il sapore dolce e appiccicoso della colazione che ho fatto ingordamente, mangiando pane fresco e marmellate fatte in casa dalla mamma della proprietaria dell'agriturismo (memorabili quelle di zucca e vaniglia e quella di arancio). Non mi manca l'esercito di cimici che in tre giorni ha infestato la nostra stanza, ma, del resto, la campagna è campagna!
La visita a Siena è stata divertente; Tegolino è il migliore compagno di viaggio di sempre. Infaticabile (nonostante le mille salite e scalinate) e sempre sorridente, non dice mai no alle mie bizzarre richieste (tipo l'avermi regalato un peluche a forma di cavallino e accettato di fargli delle foto con quello che gli ho regalato io a forma di cinghiale, ribattezzandoli rispettivamente Brunello e Picio) e, anzi, ne propone di altrettanto ridicole. Abbiamo riso tantissimo; mi mancava ridere così con lui. Quando ci si sente liberi l'anima ride.
In particolare, a Siena, abbiamo visitato una bellissima mostra dedicata al poeta Mario Luzi, che di Siena fu un amante appassionato, e fatto le classiche foto di rito nella piazza del Campo (dove ho rischiato il linciaggio per aver detto che sono contraria al Palio).
L'ultimo giorno abbiamo deciso, nella follia goliardica del momento, di visitare Orvieto: ovviamente, come dicevo sopra, lo spirito di intraprendenza di Tegolino non conosce limiti, dunque ha voluto portarmi al famoso (da notare che non ne conoscevo l'esistenza) pozzo di San Patrizio. 53 metri in giù. Bellissimo, davvero. Peccato la mia acrofobia che mi impediva di affacciarmi dalle aperture delle scale, per la quale ho gustato la profondità del pozzo solo dal suo fondo. 
E poi il cibo. Oh, my, quanto ho mangiato. Non riesco più a scrivere alla scrivania se mi piego. Esclusa la colazione dolcissima di cui vi ho parlato, ho deciso di riscattarmi dai panini mangiati correndo da un'aula all'altra o dalle mele trangugiate a tempo record di 2m31s. E quindi, complice lo stomaco-inceneritore di Tegolino, abbiamo provato tutto quello che di tipico senese potesse essere esperito dallo stomaco umano. Ho mangiato i pici all'aglione, la finocchiona e altri salumi (vedete foto per credere), il panforte e la famigerata fiorentina. Parliamone. Da non amante della carne, sono onesta nel dire che fosse molto buona, tenera e saporita. Però è troppo per me; Tegolino ne ha trangugiata più della metà, io dopo due pezzi ero già bella che piena, nel Valhalla del cibo.
Dopo il viaggio di ritorno, sempre con me e il navigatore a contenderci l'attenzione di Tegolino, sempre con me che canto, canto, canto, e Tegolino che abbassa il volume perché sennò non sente il navigatore, o che sgranocchio i crackers e li passo a lui sbriciolando dappertutto... ho disfatto le valigie pensando a quanto, in fondo, sia bello tornare a casa propria. Ma, appena messi i piedi nelle pantofole, eccola là, la voglia di ripartire, subito!
Voi avete visitato i posti che ho nominato?
Vi lascio con alcune foto del viaggio e un abbraccio forte!
Mangiare come se non ci fosse un domani
Le mura di Monteriggioni

Sunset

Nel pacifico nulla delle campagne senesi

La fiorentina (la mano di Tegolino non ce la siamo mangiata)

Nerone, che per 3 giorni è rimasto in questa posizione

Il fratello hippie di Nerone

Pane fresco e marmellate di arancio fatte in casa per colazione (sì, quella è la mano di G)

martedì 24 marzo 2015

Il mio primo premio di blogger!

Inizio il post dicendo che, non appena Tegolino mi passerà le foto del nostro viaggio, vi attende un bel resoconto in stile G del weekend fuori porta appena trascorso!

Poi, che dire? Mentre ero spersa nel nulla e nella pace delle campagne senesi, mi arriva la notizia che GinevraInGiro mi ha nominata nel Very Inspiring Blogger Award. E mi sono quasi commossa! Un po' per il solito motivo che all'inizio non ti legge nessuno e quindi ti senti un'egocentrica logorroica a parlare da sola, e un po' perché la parola inspiring è una bella parola, che non mi capita spesso di sentire. Vuol dire che abbiamo ispirato qualcuno, trasmettendogli quel pensiero ingarbugliato che era nella nostra testa e tutte le emozioni a lui connesse; nel mio caso, un po' come Thomas Hardy, sono felice se riesco a far sorridere i miei lettori. E spero quindi di esserci riuscita con GinevraInGiro: grazie di avermi nominata, mi hai resa davvero felicissima!

Le regole sono semplici: raccontare sette curiosità o eventi particolari della propria vita e nominare 15 blogger che ci hanno ispirati a loro volta.
Dunque:

  1. Sono allergica a latte e uova. Una vegana per forza, insomma. Appena mangio qualcosa che non devo, mi riempio di bolle e ho un gran mal di pancia. L'ultimo anno di liceo ebbi un principio di schock anafilattico, ma mia mamma fu abbastanza celere da portarmi al prontosoccorso. Lì, trovai un infermiere con gli orecchini e l'orologio rosa di Hello Kitty che mi disse: "Tesoro, con questa pelle diafana è un peccato farti la puntura...ma giuro che sarò bravo e non ti lascerò il livido!".
    Ogni tanto mi chiedo se la mancanza di ossigeno me lo ha fatto allucinare.
    Mangio tutto senza latte e uova, e ora odio la Nutella. Non mi piace più nemmeno l'odore, il che conferma la mia ipotesi che deve contenere qualche sostanza che crea dipendenza. Altrimenti vuol dire che ho perso ogni briciolo di senno.
  2. Amo gli animali più di ogni altra cosa al mondo, in particolare il mio cane. Siamo insieme da tredici anni ed è ciò che più amo a questo mondo. Tegolino lo sa e lo rispetta. Arriverà sempre secondo con lui.
    A sei anni convinsi i vicini di casa di mio nonno a partecipare al funerale di un bruco che era stato schiacciato per sbaglio dalla mia bicicletta. A nove, portai a casa un passerotto, gli fasciai l'ala rotta e dopo un mese tornò a volare. A dieci liberai le lucertole che mio cugino aveva catturato e messo in una scatola. Non mi parlò per mesi. Ero già un'ecoterrorista.
  3. Quando incontrai Tegolino, lui era fidanzato (non sto qui a descrivere i particolari poco piacevoli della faccenda). Io ero la classica amica a cui chiedere consigli, la fonte inesauribile di saggezza e affetto, con cui, in pratica, passava più tempo di quello che passava con la sua ragazza. Quando si lasciarono e mi resi conto che lui tergiversava non poco nel prendere una posizione nei miei riguardi, gli dissi che non volevo più sentirlo o vederlo. Passammo un mese senza parlarci, poi, il giorno del mio esame di Filologia, si fece di corsa tutta la facoltà per incontrarmi e farmi l'in bocca al lupo. Da quel giorno abbiamo ripreso le fila del discorso e domani sono tre anni che ci sopportiamo.
  4. Amo i film d'azione, lo sci-fi e i thriller, passione che mi ha trasmesso il mio papà. Sono una grandissima fan di James Bond (il mio preferito è quello interpretato da Sean Connery), Mission Impossible, Il padrino, Red, Arma Letale, e in generale tutti i film interpretati da DeNiro, Tom Hanks e Denzel Washington. Dove ci sono sparatorie, inseguimenti,alieni, spionaggio e enigma da risolvere, lì, rannicchiata sul divano con le popcorn a fare a gara con papà su chi capisce prima chi è il colpevole, ci sono io.
  5. A diciotto anni ho vinto un concorso di scrittura creativa indetto dalla Fondazione Bellonci di Roma e ho partecipato alla votazione finale del Premio Strega. Ho avuto il grande onore di conoscere Antonio Pennacchi, Raoul Montanari e altri autori candidati quell'anno, e di vedere il mio racconto pubblicato in un volume edito dalla Fondazione. Ha un posto d'onore sulla mia libreria. Magari un giorno lo pubblico anche qui!
  6. Ho tre grandi paure. Chiamiamole pure fobie. Ho la fobia dei ragni, delle altezze e...dei clown.
    Che i ragni mi fanno venire vere e proprie crisi isteriche ve ne avevo già parlato nella quarta puntata di Memorie di Un Erasmus Distratto. Non importa la taglia, il colore, la razza, per me un ragno è un essere proveniente dai miei peggiori incubi. Otto zampe? Gliele staccherei tutte e otto, se solo avessi abbastanza coraggio da toccarlo.
    Le altezze. Non so perché, soffro di vertigini. A Firenze non sono stata capace di staccarmi dal muro della Cupola del Brunelleschi e farmi una foto decente con Tegolino e il panorama alle spalle. Lo scorso weekend, a Monteriggioni, ho fatto appello a tutte le mie forze per camminare sulle mura di cinta del borgo. I segni sul braccio di Tegolino parlano chiaro.
    I clown. Boh. Forse sono rimasta sconvolta dall'esistenza di It, il pagliaccio assassino. Che io sia tremendamente impressionabile è vero: dopo che mia cugina mi raccontò la trama dell'Esorcista, dormii con i miei per almeno tre mesi. Sono una fifona, ok.
  7. Quando avevo dieci anni mio papà ebbe un problema al cuore e restò in coma per un mese. Io ero piccolina e mia mamma passava tutto il giorno in ospedale, mentre io stavo con i miei nonni. Papà uscì dall'ospedale dopo tre mesi. Probabilmente è in quel momento che la mia infanza è finita, ma non me ne rattristo. Però ogni tanto il pensiero che sarei potuta crescere senza il mio papà mi colpisce malamente, e penso a quanto sia stata fortunata nel riaverlo accanto; cerco di impegnarmi tutti i giorni nel dimostrargli quanto gli voglio bene. Anche se quando si cresce non è facile, perché inizi a vedere i tuoi genitori come essere umani e non più come supereroi perfetti e indomiti, io ci provo e spero di riuscirci.

    Poi, di norma, dovrei citare i blog che mi hanno ispirata di più (occhio, l'ordine è assolutamente random). Non importa se non pubblicheranno il post come ho fatto io, ci tengo però a dir loco che mi hanno lasciato qualcosa, chi per un modo o chi per l'altro, e che alla fine della giornata rappresentano un piccolo porto sicuro in cui rifugiarmi per qualche minuto e un bel paio di occhiali diversi con cui guardare la realtà; quindi questa è un'occasione che colgo per ringraziarli.

giovedì 19 marzo 2015

Avvisi itineranti!

Buongiorno a tutti lettori di Much Ado About G! Questo è uno dei miei famigerati ed infausti post privi di immagini e punti a capo. Da brava medievista non ho un cellulare che permetta altro. Vi scrivo nell'unico momento di pausa che la mia vita attuale mi concede, che paradossalmente è il viaggio di un'ora e mezza verso l'università! Volevo avvisarvi che G va in vacanza per qualche giorno, con l'intento preciso di mangiare fino a scoppiare e di rilassarsi con Tegolino (cosa ardua, dato che i nostri weekend fuori porta sono all'insegna del fare mille cose e pensarne altre mille). Vi auguro un felicissimo weekend e vi lascio con un consiglio musicale e un quiz! Oggi, con il sole sulla pelle e la valigia rossa a fianco, Coconut Skins di Damien Rice è la morte sua! Il quiz: cosa ci fa un articolo "il" in carne ossa in giro per i borghi medievali senesi? Vi abbraccio tutti in un abbraccio pieno di sole!

domenica 15 marzo 2015

Memorie di un Erasmus Distratto #4: La fauna

Howard, the scholar
Rieccoci con una nuova puntata delle mie memorie poco ottocentesche e molto rocambolesche riguardanti l'Erasmus.
Lo so, è passata una vita dall'ultima puntata, neanche fosse Twin Peaks (che adesso torna), ma se volete ripassare o, per chi è curioso, di sapere come tutto è iniziato, eccovi le scorse puntate:
Perché sono partita?
Prima della partenza!
Welcome to Malta!

Oggi vorrei parlarvi della fauna maltese. Voi direte: e che studiavi biologia?! No. Ma il mio Erasmus è costellato di aneddoti legati agli invertebrati e ai mammiferi maltesi.
Il primo incontro con la fauna di Malta risale alla prima notte che passai sull'isola. Come spiegato in Welcome to Malta, avevamo appena portato a termine la bonifica della casa, incrociando gli spazzoloni come i Moschettieri. Mi alzai alle tre del mattino per andare in bagno, ora lindo e candido dopo che la sottoscritta aveva causato una reazione simil fungo atomico con l'azione combinata di aceto, Cif e altri prodotti inglesi per l'igene del bagno, di cui non ricordo il nome. 
Quando accesi la luce ed entrai nel bagno delle ragazze (ne avevamo due, l'altro era dei ragazzi), mi accorsi che sul pavimento, neanche stessero partecipando al rally di Montecarlo, sfrecciavano dei cosini rossi plurizampettati. Sembravano ragnetti, ma filavano come se avessero bevuto una tanica di miscela. Data la mia assurda e ingiustificata aracnofobia (ebbene sì, ora lo sapete), sfrecciai altrettanto celermente in camera da letto e svegliai Tegolino, che russava della grossa.
-Tegolino, ci sono dei ragnetti rossi in bagno, ma devo fare pipì.-
-Mbfffmmmmffffgggghhhhh...ronf...nostro.-
Interpretai il giusto per capire che potevo usare il loro.

L'episodio passò in sordina, perché i primi tempi avevamo così tanto da fare e da vedere, che i ragnetti rossi mi preoccuparono ben poco. Finché un giorno me ne trovai uno sul comodino. E uno sul frigo, e uno quasi dentro il frigo, e uno sul piano della cucina, e mille sui muri, e nei bagni, e...ovunque. Ben presto capimmo che non erano ragni, ma blatte. Blatte germaniche, per la precisione.
Tegolino, con lo spirito d'intraprendenza delle giovani marmotte, un giorno si presentò a casa con un barattolo di pesticida. 
-E' una polverina,- disse, tutto fiero -le avvelena. La mettiamo nei punti in cui le vediamo più spesso e le facciamo fuori.-
Non so perché, ma mi attaccai a ventosa alla vana speranza che una polverina fosse la soluzione a tutti i nostri problemi. Gli credetti, la spruzzammo ovunque, finché la cosa non si trasformò in una partita di schiaccia-la-blatta tra Tegolino e il nostro coinquilino, che da oggi chiameremo Furio.
Alla centocinquantesima ciabattata, mi venne una crisi isterica. Piansi lacrime amare e mi rifiutai di mangiare, cucinare o toccare qualsiasi cosa fosse in cucina (che all'epoca era il loro habitat preferito). Ordinammo il sushi a domicilio, e andai a dormire singhiozzando.
Il padrone di casa ci assicurò che avrebbe inviato a casa la pest-control, e io mi buttai nelle pulizie con rinnovato entusiasmo. Ribonificai la casa da cima a fondo, e avevo appena ritirato il bucato quando si presentò il tizio della pest-control, pronto a disseminare per casa un gel dalle proprietà venefiche (We put this around, they eat it and they're gone! Nice, isn't it?).
Una blatta coraggiosa uscì dal suo nascondiglio proprio mentre lo spalmava in cucina: lui la vide e, con la nonchalance che solo i maltesi hanno, usò il guanto da forno che IO avevo appena smacchiato per sfragnarla sul piano da lavoro. Quasi ebbi un mancamento.

Il tempo passò, ma le nostre coinquiline erano sempre lì. Alcune avevo iniziato a riconoscerle, le chiamavo per nome, e loro, con molta cortesia, evitavano di entrarmi in camera. Ma la casa era loro, senza possibilità di scampo. L'avevano occupata abusivamente, l'avevano presa con la forza, si facevano beffe di me. All'ennesima gita fuori porta delle maledette creaturine a mille zampe, decisi che era il momento di intervenire e minacciammo il padrone di casa (all'epoca eravamo rimasti solo io e Tegolino, ostaggi della casa e delle blatte) di andarcene se non avesse risolto il problema.
Tornò un altro tipo della pest-control, vestito come un Ghostbuster. Aveva una tanica di veleno da spruzzare in giro per casa, e ci assicurò che questa volta nessuno sarebbe sopravvissuto al massacro. La cosa mi mandò talmente su di giri che accettai persino di lasciare casa per 8 ore, al fine di evitare l'intossicazione. Facemmo armi e bagagli, e andammo a cena da una nostra amica, fiduciosi. Mi sentivo come Massimo Decimo Meridio, onnipotente come Faustus.
Alla fine riprendemmo possesso della casa, ma era stata una lotta lunga ed estenuante.

Il rigufio per gatti di San Julien's
L'esperienza più piacevole e nell'insieme più particolare fu quella legata ad i gatti. A Malta non ci sono cani. Seriamente, non scherzo. Ne avrò visti sì e no una ventina in tutto l'anno che ho passato lì. Per me che sono un amante dei cani fu uno shock. Il mio mi mancava moltissimo e non avevo nemmeno il conforto di coccolarne uno.
In compenso, in scala più ampia rispetto alle blatte, Malta era occupata dai gatti. Ce ne sono di tutti i tipi: gatti randagi, gatti di quartiere, gatti di casa, gatti dell'università...
I maltesi hanno una cultura del gatto. Non è raro imbattersi in veri e propri 'gattili' a cielo aperto, piccoli rifugi costruiti alla bell'e meglio sul ciglio della strada o nelle aiuole o nei parchi, destinati ai gatti randagi. Generalmente sono signore anziane ad occuparsene; in particolare, a San Julian's, una signora si fa lasciare spiccioli nella cassetta della posta per comprare cibo per gatti e cucce nuove per il rifugio che ha arrangiato di fronte casa sua: ci sono vecchi peluche, coperte, ciotole, e almeno una quarantina di gatti dorme lì, al sicuro, al caldo e all'asciutto.
Anche per me che non amo i gatti, è stata una delle cose più tenere e altruiste che abbia mai visto.
Persino all'interno del campus, i gatti sono sovrani. Tutti danno loro da mangiare, tutti li coccolano e ci giocano, mentre loro si sdraiano sugli appunti degli studenti o fanno visita al gatto della padrona dell'Agenda (il negozio di libri che si trova nel campus, sotto la mensa universitaria). Lui, in particolare, lo trovavo spesso davanti alla porta del negozio, quando i padroni non c'erano, come se facesse la guardia.  Un watchcat. Una cosa assurda.
Un po' come Dean, quello che tutti i giorni aspettava che io e Tegolino tornassimo a casa: era troppo diffidente per avvicinarsi, ma era sempre lì, ad aspettarci, come se volesse controllare che fossimo ancora tutti interi.

Coppia di gatti di Rabat
 Quello in foto è Howard, un gatto che amava spalmarsi al sole nel mio posto preferito del campus, il Reader's Corner, un piccolo parco soleggiato dove regnava sempre il silenzio. Ha ripassato con me prima di ogni esame; credo che ormai sia il gatto più colto dell'intera isola.

Vi auguro un buon inizio di settimana! A presto per la prossima puntata!
G

lunedì 9 marzo 2015

Tipi da facoltà

Sono tornata (e non è una minaccia!)! Mi siete mancati tutti molto; mi dispiace non essere passata da voi recentemente, ma mi farò perdonare. Momento di crisi passeggero a parte, le mie prime due settimane di lezioni+lavoro hanno decisamente lasciato il segno.
Gli orari assurdi a cui ci sottopongono, per i quali dovremmo o clonarci o possedere una macchina del tempo, rendono le giornate caotiche, il pranzo un'araba fenice e ci fanno dimenticare la faccia di amici/parenti e fidanzati. Della serie che non mi ricordo più se Tegolino è biondo o moro.
In più ho il lavoro come insegnante, che mi dà grandissime soddisfazioni, ma porta via altro tempo che potrei dedicare a bisogni elementari, tipo mangiare e bere!
Oggi, infatti, ho deciso di restare a casa, evitarmi il viaggio, anticipare un po' di studio e rilassarmi un pochino; dunque eccomi qui, per lasciarvi un saluto!
Il tram tram delle lezioni ha dato adito ad alcune riflessioni a riguardo: mercoledì, per esempio, dopo essere corsa da un'aula all'altra, mi sono seduta in quella di Letteratura Inglese, alle cinque del pomeriggio, e ho dato un'occhiata alle facce degli altri seduti intorno a me.
Rinchiuse in un'aula di 50 posti, ho individuato le seguenti categorie di studenti/studentesse:
  • il fatalista: quello che segue corso perché ha saputo dal cugino della sorella dell'amica del ragazzo della figlia del macellaio sotto casa che sono 12 cfu regalati. Entrano in classe senza sapere chi sia il prof, che aula sia e, soprattutto, di che corso si tratti. Li riconosci dallo sguardo vacuo e dalla borsa sgangherata, vergognosamente vuota, a parte le sigarette e un'agendina semi-distrutta. Certo, anche quando alla sesta lezione ti chiedono "ma di che parla il corso?" ti aiuta a riconoscerli.
  • l'Houdini: è il classico tipo che arriva, rigorosamente in ritardo, e striscia sotto i banchi per non farsi notare. Segue poco, dondolandosi nervosamente e facendo tremare tutto il banco, scrive un paio di frasi e poi cancella tutto; poi, dopo circa mezz'ora, si alza, rifà il percorso inverso strisciando sulla pancia tipo soldato Ryan, e poi sparisce. Le sue apparizioni sembrano più dei miraggi. Li ammiro moltissimo, perché spesso prendono il massimo dei voti senza il minimo sforzo.
  • il polemico: colui che è perennemente in guerra con l'istituzione universitaria. Il rettore, i professori, le segretarie, persino il personale delle pulizie, tutti complottano per rovesciare la sua carriera universitaria. Le aule sono troppo piccole, i panini del bar troppo saporiti o costosi, i programmi troppo noiosi, i libri troppo lunghi, i crediti troppo pochi e le panchine non angolate in maniera tale da essere al sole 24h su 24. E' la persona peggiore da ritrovarti seduta vicino, perché ti spinge al suicidio ancor prima che la giornata inizi.
  • l'affamato: può mangiare le cose più disparate agli orari più impensabili, nascosto dietro gli schermi del computer, sulle scale, sotto il banco, con la testa nello zaino. Per ora, il record resta il panino melanzane e alici alle dieci del mattino. 
  • l'opportunista: si apposta fuori dalla porta dell'aula e aspetta che tu guardi nella sua direzione per bombardarti di domande su di te, nella speranza di diventare presto amici e passare ai quesiti sul corso, sul prof, sul tuo metodo di studio, sui libri, sugli appunti. E tu ti ritrovi a tergiversare perché vuole il tuo quaderno, inventando uno scanner che non funziona, una sorella che ha preso il quaderno per sbaglio, una congiunzione astrale per la quale prestare appunti ad uno del Sagittario è di cattivo auspicio.
  • l'Heidi Klum/Barney Stinson: quelli che ricadono nella categoria del paranormale. Le Heidi Klum sono quelle che alle sei di sera, dopo aver preso la metro, o guidato nel traffico, o fatto un'ora di autobus stipate come sardine come me, seguito le lezioni e corso da un'aula all'altra, sembrano appena uscite da un centro estetico. Non una sbavatura di mascara, non un capello fuori posto, la borsa di Fendi sotto braccio, rigorosamente chiusa e di dimensioni normali, i vestiti come fossero appena usciti da una tintoria. Entrano in classe con la grazia scanzonata di chi non ha rivali, sbriciolando la tua autostima con uno sguardo carico di mascara e freddezza. Gli Barney Stinson sono il loro corrispettivo maschile, con l'unica variante che non ti tengono la porta e non ti fanno ordinare il caffé al bar per prima. Loro sono troppo chic per te.
  • le margherite: sono quelle persone che, ogni tanto, raramente, sbocciano come margherite e ti rallegrano la giornata. Possono essere le compagne di classe del corso di Letteratura Tedesca, perché in cinque ci si diverte di più, o lo studente Erasmus che ti dice di ammirarti perché il tuo tedesco è buono nonostante sia una lingua difficile. Oppure una compagna di corso appena conosciuta, che abbatte le tue barriere di diffidenza nei confronti di un possibile opportunista, ti dà appuntamento al bar o in classe solo per sedersi accanto a te e seguire la lezione insieme, con un sorriso e una risata in più.
  • G: poi ci sono io, che corro a destra e sinistra a passo di marcia, tanto da meritare il soprannome di Flash Gordon, con mille libri tra le mani, le macchie di penna sulla faccia, la borsa straripante che una volta aperta non si chiude più, i capelli spettinati e sparati in mille direzioni e che occasionalmente ruzzolo giù per le scale o inciampo nei banchi. Ovviamente il poco mascara che metto è spalmato su tutte le guance alla seconda ora di lezione, e il mio zaino pesa un quintale. Quelli come me si riconoscono dall'aria perennemente trafelata, un misto tra l'entusiasmo di un undicenne e la confusione di uno che ha preso una bastonata in testa.
Voi in che tipo vi riconoscete?
Vi abbraccio forte!
G

domenica 1 marzo 2015

Poliedricità

Non ho mai capito se quando ti senti così si può parlare di periodo, di giornata, di era geologica o di esistenza. A volte mi colpisce la mia assurda, puntuale e singolare voglia di chiudere i battenti con il mondo, diventare un'eremita come Thoreau, oppure sbattere la testa al muro finché non ne esce una spiegazione logica alle sensazioni che provo.
Che io sia una contraddizione umana, non ne ho mai fatto mistero. Dalle cose più comuni a quelle più importanti. Dall'amare follemente il low-fi e Damien Rice ma al contempo agitarmi come una posseduta se ascolto i Rammstein, o leggere Ian McEwan e poi buttarmi su romanzetti rosa, così, per passare il tempo.
Però poi capitano quei giorni in cui tutto diventa sfocato. Mi sembra di volere tutto e il contrario di tutto. Voglio cose che non ho mai voluto, a cui non ho mai pensato, e altre le dimentico, così. 
Quei tipici giorni in cui ti alzi e non sai bene che stai facendo qui, nel tuo tempo-spazio, ti butti a studiare perché lunedì hai una consegna, fai le cose di tutti i giorni, ma poi ti riconosci appena se ti guardi allo specchio. Penso a quando era tutto paradossalmente più semplice quando avevo sedici anni, anche se io la mia adolescenza l'ho passata come una trentenne nei panni di una liceale, dove tutto era bianco e nero e io mi adeguavo alla semplicità del mondo con una scrollata di spalle e un sospiro. E ne ero rassicurata. Mi sembra che il mondo fosse più giovane a quel tempo, più genuino, più fresco, e il mio cuore un po' più aperto, spontaneo e...giovane, forse è la parola che racchiude un po' tutto.
E adesso faccio fatica a capire le cose più elementari, perse nelle sfumature infinite di un mondo più complicato, sfaccettato come un poliedro dalle facce innumerevoli. Mi chiedo se ho quello che voglio, se quello che ho è quello che voglio, se riesco a dare abbastanza alle persone che ho vicino, se il mio cuore è abbastanza aperto e se è davvero accessibile. Ci sono giorni che lo sento chiuso come una fortezza, e io, piccola piccola, a dargli l'assedio come Cordelia. Che poi si sa che fine fa, lei.
Vorrei dare una spinta al futuro, qualsiasi esso sia, perché a volte mi sembra di essere immobile, mentre io ho bisogno del moto perenne per sentire che va tutto bene, che l'universo gira e io giro con e contro di lui.
Non ho mai amato essere un sistema immobile, rinchiuso in un altro sistema, né chi si fa trasportare dalla corrente, incapace di piantare i piedi e prendere le redini e guidare. E questo mi ha fatto perdere tante persone, a volte è stato un bene, altre avrei dovuto essere meno me, meno spigolosa e più lungimirante.
Forse i miei standard sulla vita sono troppo alti, forse irreali, forse qualcosa che non capirò mai bene in fondo. A volte non mi sento tagliata per vivere le cose come sono. Ho bisogno che girino e che io possa decidere che direzione prendere.
In questo momento mi mangio le mani per non aver chiesto un altro Erasmus, nonostante potessi di nuovo partire, anche se sono consapevole che no, non potevo, perché qui hanno bisogno di me, e certe possibilità che mi si aprono davanti assumono tutta un'altra luce. Vorrei tempo e spazio, tutto nuovo e incontaminato, per capire se G, in fondo, fa le scelte giuste.
Ma questo spazio non c'è, e allora devo abituarmi a sentirmi un leone in gabbia per un altro po', finché il momento (o sono io, che mi risveglio da un torpore) passi.