lunedì 20 febbraio 2012

Parentela (parte 1)

Essere padre di una linguista non è cosa facile. Forse non è cosa buona e giusta. Ma, soprattutto, per una linguista essere figlia di un mancato linguista è cosa ancora meno buona e giusta.
Dad è un cervellone da pc. Smonta e rimonta computer come fanno coi mobili all'Ikea. Ma dentro, molto inside, dad è un mancato linguista. Lui voleva studiare al liceo linguistico, ma per non bene noti e specificati motivi alla fine si è dato al mondo dell'informatica. 
Il problema sorge quando il linguista sopito che è in lui viene fuori. E non è che viene fuori nei momenti da noi prestabiliti (quando si vuole fare insegnare un po' di inglese). No. Viene fuori nei momenti più astrusi e impensabili. Quando mangia. Quando beve (soprattutto se alza il gomito). Quando guarda la tv. Quando si dirige al bagno. Ecco. In tutti questi momenti, Dad...lingueggia
Qui accluse, le perle da lui sfornate recentemente (ma anche le più remote e ormai entrate di diritto negli annali della famiglia).

It's better the ourselves that the bad company = Meglio solo che male accompagnati.
God make them and then couple it = Dio li fa e poi li accoppia.
I go to do the shit = ...non credo abbia bisogno di traduzione. 
The wolf lose hair (ma pronunciato come air) but don't lose... = Il lupo perde il pelo ma non il... (vizio non sapeva dirlo)
Say hi to your sister = Espressione verace più o meno corrispondente a Salutame a soreta.

E' evidente che io il plurilinguismo ce l'ho nel DNA.
 
 

lunedì 13 febbraio 2012

Del Carnevale, nel presente, passato e futuro.

Questo che vedete qui sopra non è un costume di carnevale qualunque. E' un costume di carnevale normale. Ok, magari normale per il resto del mondo, atipico se si pensa che a 21 anni dovrò vestirmi così e librarmi su una pista da ballo con la grazia di Pumbaa, insieme all'amica Lullubells (vestita da Blues Brother, in coppia con l'altrettanto Blues Brother ragazzo) e all'amica Michi (alias Alice nel Paese delle meraviglie per una sera), e con tanto di alucce, calze verdi e coroncina. 
Che poi mi chiedo perché ogni volta che la suddetta amica mi invita a una festa, ciò implica che io debba travestirmi da qualcosa (a breve il resoconto della mia serata pin-up e notizie più precise sulla citata Lullubells).
Eppure, il costume da Winx (perché già so che nessuno capirà che sono vestita da fatina dei boschi, e mi chiederanno quale Winx interpreto) mi sembra mille volte più allettante di tutti i costumi propinatimi tra i 2 ei 10 anni.
Il primissimo ricordo del carnevale ce l'ho vestita da orso (perché poi fossi un orso rosso non s'è mai capito e mai si capirà. Va accettato come il teorema di Talete, per intenderci!).
Io vestita da orsorosso che lancio coriandoli, convinta che spargere al vento pallini di carta colorata, puntualmente appiccicandomeli addosso, sia la cosa più giusta e goduriosa del mondo.
Dopo qualche anno, il salto di qualità. I miei si danno all'entomologia, e mi ritrovo vestita da bruco. Ora figuratevi una piccoletta di 4 anni vestita con un modello tubolare cilindrico verde acido, con tanto di antennine, guantini neri e occhioni da maggiolone neri. Alla prima occasione mi rotolai in una pozzanghera di fango, con lo stesso ardore di un kamikaze che si immola per la patria. Ricordo il momento in slow motion: la pozzanghera di fronte a me, zozza e pastosa come non le ho più vestite, e io che mi lancio in avanti tipo Kevin Costner per proteggere Whitney in "The Bodyguard". Fui bravissima, e mamma dovette buttare il costume.
Poi, flash forward, e ci ritroviamo ai miei 7 anni. E lì hanno superato se stessi: il vestito da fata turchina. Voi vi chiederete che ha di tanto strano un vestito da fata. Ma io l'ho odiato. Con tutta me stessa. Perché? Perché dovevo inserire il cerchio nella gonna per farla sembrare più ampia possibile. Ma siccome il mio patrimonio genetico è stato costruito su una spessa base di goffagine, sono riuscita a rompermi il braccio inciampando nel cerchio. 
(Ovviamente nella categoria rientrano i vari costumi da: Biancaneve, Principessa Sissi, Damina).
Ora la faccenda si fa seria. Io e il vestito da fata ci squadriamo con sospetto, e tra l'altro evito accuratamente di farmi notare dai miei, visto che l'ho voluto fortemente, per salvarmi dalle loro alternative e improbabili scelte.
Pregna di significato la scena al negozio: mio padre tira fuori un vestito da Biancaneve, al cui confronto un chador è roba da pornostar ("Così stai bella coperta...fa freddo no!?") e mia mamma uno da suora, con tanto di rosario e santino.
Ecco. Poi dici che una cresce coi complessi.