sabato 18 ottobre 2014

Oki per Oki, Fazzoletto per Fazzoletto

Rieccomi qui. Here we go again.
Again, nel senso che, nonostante negli ultimi tempi la mia vita sia cambiata parecchio (vedi la laurea triennale e il ritorno in patria da Malta), mi ritrovo esattamente allo stesso punto di tre anni fa. Di nuovo matricola, di nuovo pendolare disperata alla perenne ricerca di un posto a sedere sull'autobus (della serie che la ricerca del sacro Graal mi fa un baffo), di nuovo lezioni su lezioni, traduzioni su traduzioni, le giornate che per tutti sembrano durare 48 h e per me solo 5-6... e quindi G è di nuovo in corsa verso la fine di una specialistica che è partita non proprio sotto i migliori auspici.

Per spiegare la mia crisi esistenziale attuale basta dire che, una volta che hai viaggiato e vissuto realtà diverse, tornare indietro non è sempre facile. Quando ti abitui ad accogliere i cambiamenti non riesci più a cristallizzare la tua vita. E' patologico.

Ma oggi vorrei parlare di qualcos'altro. Qualcosa di molto più subdolo e crudele dell'alzarsi tutte le mattine alle 6 (o alle 5.30, dipende) e fare la pendolare tra autobus che non partono e corse sovraffollate che si fermano per 2 h prima di ripartire. Ecco.Il CAMBIO DI STAGIONE

"Non ci sono più le mezze stagioni", diceva mia nonna. E io pensavo che erano frasi da matusa: invece no, ho dovuto ricredermi della sua infinita saggezza, un po' come Daniel con gli insegnamenti del maestro Miyagi. Lo testimonia il mio armadio che esibisce appesi vicini l'un l'altro, in sequenza, un vestitino di lino a fiori, una felpa invernale stile mi-sono-trasferito-al-polo-nord-in-pieno-dicembre e una maglietta a mezze maniche. Sostanzialmente, ogni mattina è come scegliere un pacco all'Eredità: guardo fuori dalla finestra, annuso l'aria e provo ad immaginare come sarà il tempo all'Università. Poi mi vesto e prendo l'auto. E miseramente fallisco.

Se arrivo col suddetto vestitino di lino e ballerine, Mosé mi accosta vicino e mi chiede se deve prenotarmi un posto sull'arca per tornare a casa. Se arrivo con la felpa, il caldo sahariano delle aule mi fa sciogliere come un ghiacciolo sotto il sole di Ferragosto. Se arrivo con la maglietta a mezze maniche, soffro l'uno e l'altro problema, alternatamente, nella stessa giornata.

E come se non bastasse, quasi a ridere delle mie disavventure, arriva LUI. Il temibile, leggendario, atavico raffreddore da temperature ballerine. Quello che occupa il tuo corpo abusivamente, insieme al signor Maldigola e alla signorina Febbre, talvolta portandosi dietro pure l'infante Tosse. 
La fame scompare e tua mamma ti dice che in questi casi sai cosa bisogna fare? Mangiare! (Lapalissiano).

Ecco. Immaginatevi dunque cosa voglia dire parlare tedesco e inglese in queste condizioni.
Ich muss den Text übersetzen, provavo a dire ieri. Qualcosa che suonava terribilmente come icbuzddettexubbesezze. Con colpo di tosse finale nel tentativo di aspirare l'ich.

In attesa che i microbi sloggino, volevo farvi un saluto e brindare (con l'Oki e il brodo di pollo) ad un nuovo anno scolastico/accademico/lavorativo... sperando che sia ricco di soddisfazioni e povero di fazzoletti e starnuti!

La terza puntata di "Memorie di un Erasmus distratto" arriverà a breve! Stay tuned!

Raffreddatamente vostra,

G