mercoledì 25 novembre 2015

Parte dell'amore intorno

 Buongiorno cari lettori! :-)

Sono in trasferta per l'Università e oggi apro l'ufficio e pensavo a due cose: la prima, è che sto fusa. Fuori come un balcone. Kaputt. I put an antic disposition on. Ma c'è method nella mia follia. Tipo ieri che ho messo gli occhiali di mio padre nel freezer perché gli bruciavano gli occhi.

La seconda è che mi sento fortunata. C'è tanto amore intorno a me. Da voi, che siete una seconda famiglia, ormai, dai miei, nonostante i guai, da Tegolino, ri-nonostante i guai, dai miei amici, dagli sconosciuti, da persone incontrate per caso.
Dalla mia amica Sole, che mi porta i cioccolatini fondenti per la mia allergia.
Dalla mia amica Diddi che viene a trovarmi per salutare mia mamma che non sta bene...

E oggi che c'è il sole, anche dal mondo.
C'è così tanto amore intorno a me che mi chiedo se riuscirò mai a meritarmelo abbastanza!
Quindi, grazie di essere parte di questo amore! :-) siete unici!

Vi lascio perché alla prossima fermata scendo e sicuramente tra sciarpa e piumino e borsa farò un bel botto e non è il caso iniziare la giornata così!

Vi adoro.
G

sabato 21 novembre 2015

Solo G

Alla fine non è successo nulla di quanto temuto. La metro è andata liscia, i treni pure, gli autobus anche, e la vostra G è sana e salva qui per voi.

La vita da assistente è più complicata di quanto pensassi. Certo, ha i suoi lati estremamente comici. Ogni tanto gli studenti si impanicano, e non sanno bene come parlarmi. Mischiano il lei, il tu e il voi, nella stessa frase, diventando tutti rossi e balbettando come una pentola in ebollizione. Mi fanno un sacco ridere, ma cerco di non approfittarmi di quei momenti e di metterli a loro agio con il famoso "dammi pure del tu!", che da una vita sognavo di dire a qualcuno.
Ci sono quelli sempre felici di incontrarmi, altri che strabuzzano un po' gli occhi quando mi vedono seduta sul prato con il mio gruppetto, il titanico chiacchierone per cui sono Amore, la cazzuta, la compassionevole, l'allegra e la romana de roma, a ridere, o in un aula a mangiare rum e cioccolato con loro. Altri tornano sui loro passi quando mi riconoscono e mi salutano, probabilmente più per paura che metta loro 18 solo perché non sono stati abbastanza gentili. Altri, i belli e ombrosi ragazzi attorniati da un nutrito gruppetto femminile ovunque vadano, mi salutano quasi in slow motion con un sorriso accattivante, chissà, magari prima o poi ci casco, penseranno. Poi, come per tutti gli assistenti, ci sono quelli che non ti si filano manco a pagare oro, che non ti salutano, non ti parlano e ti trattano con lo stesso rispetto che mostrerebbero ad uno scarafaggio che razzola in cucina. Insomma, non mi aspetto chissà che comportamento, ma sull'educazione non transigo. E mi sento tanto mia nonna quando li guardo e penso "io alla loro età non ero così scortese".
Ci sono cose, del fare l'assistente, che non avrei mai pensato di dover fare, tipo correggere compiti o trafficare con i dati personali della mia prof come se fossero i miei.
E poi ci sono le chiacchierate con lei, nel suo studio all'ora di pranzo, a parlare dei nostri cani, delle nostre famiglie, dei nostri papà, di Tegolino, del dottorato, di Shakespeare, a citare a memoria un brano di Keats o del Macbeth per argomentare le nostre idee, o a ragionare a stralci sulla mia tesi, lei sempre più entusiasta delle idee che mi stanno spuntando in testa come funghetti, io sempre più preoccupata di quando avrò il tempo di iniziare a scrivere.
E mi sento in colpa anche ora che ho interrotto i miei riassunti su Roberto il Guiscardo per farvi un saluto. Ahi ahi ahi.

Qualcuno mi ha chiesto per cosa stia la mia G. Ho risposto che non ho mai svelato il mistero perché ho fatto una scommessa. Ho pensato a lungo se spiegarvi o meno il perché di una sola lettera per definirmi, e sono giunta alla conclusione che posso provarci. 
G, come molti di voi avranno intuito, è l'iniziale del mio nome. Quando ho ricominciato a scrivere sul blog, ho scommesso che non avrei mai svelato il mio nome, la mia città e via dicendo, e questo, nella mia testa, aveva uno scopo ben preciso: se vi dicessi come mi chiamo, non mi pensereste più come G, ma come Giulia, Giovanna, Giordana e via dicendo. E poi, parlandovi di me come G, senza foto, senza nome, senza riferimenti veri e propri, mi sembrava di mettervi davanti ad un quadro, senza cornice, per poter arrivare più facilmente all'essenza di me. Niente filtri, niente punti fissi.
Ho sempre visto la scrittura così. Almeno per me, scrivere è sempre stato un modo per arrivare all'essenza delle cose.
Come avrete notato, la cosa si è ridimensionata da sé. Molti di voi avranno capito dove studio, e di che regione sono, avete visto qualche mia foto, avrete un'idea di come sono fatta (e sarei curiosa di sapere come mi immaginate!) e di come mi vesto. 
Ma la cosa che mi piace di più dell'essere solo G è che tutti mi leggete dentro, è l'onestà con cui vi parlo e voi parlate a me, che difficilmente riesco a ritrovare in chi prima mi guarda e, poi, mi ascolta.

Un giorno, forse, vi dirò cosa viene dopo G, e chissà se tirando ad indovinare qualcuno non ci arrivi comunque, ma per il momento sono felice così, di essere solo G. La vostra G.

lunedì 16 novembre 2015

Occhi aperti.

Stamattina ho ricevuto belle notizie da Parigi, le ragazze che il mio ufficio ha mandato lì in Erasmus sono sane e salve. Una di loro ha scritto che la situazione è meno tesa di quella che si vede in tv e che tutti i parigini stamattina hanno ricominciato la loro vita rimboccandosi le mani e asciugandosi le lacrime. Che omaggio migliore, penso, per chi non ha potuto avere questa opportunità?
La morte è dolorosa, ci stringe il cuore con artigli di ferro e a volte ci congela lì dove siamo, quasi non potessimo andare né avanti né indietro. Eppure, per quanto tragica e ingiusta, dietro la morte c'è la vita. E' imprescindibile.
Ci pensavo oggi mentre parlavo con la mia capoufficio. Non so perché, eravamo entrambe in vena di confidenze e abbiamo parlato molto di mia mamma e della situazione della mia famiglia. Le ho raccontato della depressione, di quello che penso mi abbia lasciato e di come i problemi economici abbiano influito sul tutto, e lei mi ha detto che sono stata fortunata nella sfortuna, a non lasciarmi andare, insomma, a diventare una figlia terribile. E mentre lo spiegavo a lei, è diventato chiarissimo anche a me, il perché di tanti miei bisogni e tanti atteggiamenti. Nel caos della mia vita, ho bisogno di ordine, ed è per questo, forse, che mi sono sempre data anima e corpo allo studio e al lavoro. Almeno quello che posso controllare deve andare secondo i miei piani. Ma di questo ve ne sarete ampiamente accorti.
Ecco, penso che dopo eventi come quello di Parigi, il desiderio di continuare con la propria vita, più forte e prepotente di prima, non deve essere mal visto, anzi. E' una reazione fisiologica, quasi, un po' come la mia mania di dare una direzione rigorosa alla mia vita, per mettere ordine nel caos che mi circonda, per sentirmi meno alla deriva. Moltiplicato mille volte in intensità, credo sia quello che tutti i parigini hanno provato oggi.
Tutta questa riflessione nasce dal fatto che domani andrò nella Grande Città per le lezioni, come al solito, ma che farò un giro più lungo e tortuoso, fatto di treni e metro, per poter vedere un mio carissimo amico in trasferta da Torino. Non ci vediamo da due anni, e ci saremo visti in totale 5 volte in 5 anni (ognuna per non più di un'ora), e non vedo l'ora di vederlo e stare un po' con lui, con un po' più di calma. Siamo lontani da anni, ma paradossalmente sappiamo più l'uno dell'altra di quanto forse Gnappetta sa di me o io di lei. Soprattutto in questo periodo in cui è praticamente scomparsa.
Anzi, in questo periodo in cui mi si recrimina di essere scomparsa. Io? Ovviamente tutto dipende dal fatto che sono il classico tipo che non fa mai mancare un buongiorno, un pensiero dolce, una faccina sorridente, una foto o una telefonata, anche se nel frattempo sta lottando per la salvezza del mondo. Probabilmente è troppo. Anzi, sicuramente, perché poi nel momento in cui sei tu ad aver bisogno e smetti di dare cenni di vita, troppo presa a combattere con la tua vita, diventi l'assenteista, quella che è strana, o scomparsa, o fredda, o che so io. E non so se in questi giorni ho più voglia di ridere o di prenderli tutti a ceffoni.
Insomma, tutto per dire che domani dovrò prendere questo numero imprecisato di mezzi pubblici, e mamma Dafne è terrorizzata dall'allerta e dagli allarmismi che riguardano i trasporti. Mi ha consigliato di rimandare, di non prendere quei mezzi, di fare un'altra volta, e babbo Telesforo si è prontamente rifiutato di darle ragione.
Come darle torto? Anche io penso al fatto che potrebbe succedere ad ognuno di noi, da un momento all'altro, senza nessuna possibilità di evitarlo. Ma perché questo dovrebbe arginare il fiume della vita?
Che vita sarebbe, una non-vita per paura della morte?
Potrebbe cadermi una tegola in testa, o potrei fare un incidente mentre in trasferta per l'università, o che so, e a quel punto a chi dare la colpa?
Non possiamo farci congelare dalla paura, per quanto grande essa sia.
Si deve andare avanti, sorridere di nuovo, rischiare, perdere gli autobus, studiare per un esame, arrivare tardi a lavoro, fare colazione al bar e macchiarsi di caffé, fare l'amore, tanto, spesso, alzare la voce, ricordare, ridere, giocare con i propri figli, andare ad un concerto, a cena fuori con un amico, allo stadio a vedere una partita di calcio, prendere mille mezzi per incontrare un caro amico.
La vita, vera, è questa.
Oggi mi hanno detto che bisogna tenere sempre gli occhi aperti. E io ho risposto che i miei occhi sono sempre aperti, perché tutta questa vita non me la voglio perdere, anche se ho paura.

domenica 15 novembre 2015

Un pensiero per Parigi


Sono rimasta senza parole per gli avvenimenti di Parigi. Ma anche per quello che è successo a Beirut, in Siria, in Iran e in tutte le parti del mondo dove questa subdola e pseudo-advertised  violenza si sta consumando.

Non è giusto che siano le persone comuni, che svestiti di tutto, di credo, cultura, usi e costumi, sono esseri umani, a farne le spese. Esseri umani come coloro che decidono di mettere fine alla loro vita per un ideale superiore. Superiore, poi, se li rivolge contro ciò che più di universale e in comune hanno con le loro vittime?
Non so bene a chi mi rivolgo, ma prego per loro.


O war! thou son of hell,
Whom angry heavens do make their minister,
Throw in the frozen bosoms of our part
Hot coals of vengeance! Let no soldier fly.
He that is truly dedicate to war
Hath no self-love, nor he that loves himself,
Hath not essentially but by circumstance
The name of valour.
Herny V
V,ii,26-33

martedì 3 novembre 2015

Pillole e feng-shui

Ho letto che negli States alcune persone pagano fino a 100.000 dollari per clonare il proprio cane.
Egoisticamente, so che darei l'elisir di lunga vita a Pagnotta se potessi. Viviamo insieme da 14 anni, è la luce dei miei occhi e ciò che amo di più al mondo. Il giorno in cui dovremo separarci so già che mi distruggerà. So che non mi riprenderò mai davvero e lo temo con tutto il cuore. Ma non potrei mai fare una cosa del genere. Non solo perché si tratta di vera e propria speculazione sui sentimenti altrui, ma perché non possiamo non accettare la morte. Nella morte siamo vita. Morte è vita, è parte di essa.
Ingannare la morte sarebbe come sospendere la vita. E sinceramente mi fa molta più paura questo, che morire.

L'ultimo anno di università si sta rivelando la sublimazione di tutti i precedenti. Non solo perché ho raggiunto tanti bei traguardi dal punto di vista puramente "professionale", come essere un'assistente o lavorare in un ufficio internazionale all'interno della facoltà, ma anche perché ormai mi sento parte di una grande famiglia. I professori mi riconoscono, dopo cinque anni, e si fermano a scambiare quattro chiacchiere, il personale non docente è sempre felice di vedermi e di farmi qualche favore, la mia capa è come una di famiglia, ormai, con i miei compagni, dato che siamo così pochi nei vari corsi, si è creata una bella sintonia. Ultimanente stiamo lavorando sull'EMI (English as a Medium of Instruction) e giriamo la grande città per convegni che durano giornate intere, facciamo progetti, presentazioni e questionari, e ci diamo una mano a vicenda per alleggerirci tutto il lavoro. Il nostro professore, british dentro e fuori, è abbastanza fiero del modo in cui cooperiamo e a ragione, direi, visto che ci stiamo sdoppiando per fare decentemente anche il lavoro del suo altro modulo, tutto di traduzione. Insomma, un periodo di grande creatività. E a dicembre dovrò correggere gli esoneri del corso di Letteratura, il che mi manda, francamente, in brodo di giuggiole. 

Ogni tanto mi prende la nostalgia di cose e persone che non ho mai fatto o conosciuto. In tedesco si chiama Sehnsucht. In inglese rendono questa sensazione di nostalgia con il suffisso 'sick' alla fine della parola. Homesick. Lovesick. Ecco, oggi mi sento futuresick. Di un futuro che non so bene come voglio che sia, con persone che non so più se voglio con me. Forse è il momento adatto per fare feng-shui e riorganizzare un po' alcuni reparti della mia vita che si stanno riempendo di caos e di polvere. E siccome quando sono in crisi pulisco, comincio a pensare che il feng-shui sia la soluzione migliore, per smussare un po' questi angoli che mi pungolano i fianchi.